venerdì 30 settembre 2011

ARTICOLO 11

(1)L'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con glialtriStati,allelimitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo


L’articolo 11 della Costituzione italiana prevede il ripudio alla guerra.
Ma è un articolo quasi fantasma troppo dimenticato dalla destra e dalla sinistra.
Non credo che esistano bombe talmente intelligenti da portare la democrazia .
Non credo che esistano bombe che portino la pace.
Non credo, come Gino Strada, il migliore degli uomini in questo tempo di odio, alla guerra come strumento di pace. Terribile ossimoro di morte.
Dico oggi via le truppe italiane da l’Iraq, come dicevo a suo tempo di non partecipare alla guerra in Jugoslavia, dico basta anche a tutte quelle guerre dimenticate che non bucano più lo schermo dei nostri telegiornali.
Essere pacifista vuol dire anche andare al di sopra della politica .
Penso a Gino e a ciò che vede e fa, senza chiedere nulla.
Io non voglio che il mondo culmini in uno scontro di civiltà, io sono per una sana e costruttiva convivenza , fatta di altrettanti concreti dialoghi
Io sono per l’immediato ritiro delle truppe italiane dall’Iraq.
Vorrei che un giorno non esistessero più bambini accecati e mutilati dalle mine, donne violentate e sgozzate,montagne di scheletri, ragazzi schiacciati da i carri armati, bombe, pulizia etnica,gas tossici, cadaveri nei fiumi,campi di sterminio.
Fermiamo tutte le guerre.
“Perchè la pace è l'unica vittoria”.

mercoledì 28 settembre 2011

1944- ..in memoria di Luigi Pierantoni


Luigi Pierantoni

Nato a Intra (oggi Verbania) il 2 dicembre 1905, trucidato alle Fosse Ardeatine il 24 marzo 1944, medico.

Tisiologo, membro del Partito d'Azione clandestino, il dottor Pierantoni (tenente della Croce Rossa Italiana), usava la sua casa-ambulatorio in piazza Ledro, nel quartiere Trieste a Roma, come base per l'attività politica. Il padre, Amedeo, era stato, nel 1921, tra i fondatori del Partito comunista d'Italia e nella casa dei Pierantoni si incontravano, così, resistenti azionisti e comunisti. 

Anche la moglie del medico, Lea, era a fianco del marito nella lotta contro gli occupanti tedeschi e i fascisti che li sostenevano. La giovane donna, impavida, nonostante fosse in attesa di un quarto figlio, trasportava armi e stampa clandestina, occultandola nel doppio fondo del passeggino del terzo figlio, Paolo. Il 7 febbraio 1944 il tenente Pierantoni fu arrestato, per delazione, mentre era in servizio nel presidio romano della CRI a Tor Fiorenza. Portato in una cella di via Tasso, superati gli abituali, pesanti interrogatori, fu trasferito nel III braccio del carcere di Regina Coeli, dove improvvisò una infermeria e si prodigò nell'attività di medico a favore dei detenuti. 

Stava appunto praticando un'iniezione a un malato, quando fu interrotto bruscamente da due agenti della "feld polizei" e trascinato, senza spiegazioni, alle Fosse Ardeatine. Luigi Pierantoni fu una delle prime vittime dell'atroce rappresaglia, tanto che quando le salme furono, nel dopoguerra, recuperate, a quella del medico antifascista, riportata tra le ultime in superficie, fu assegnato il numero 334. Quando si costituì l'associazione dei familiari dei martiri (ANFIM), proprio il padre di Pierantoni fu chiamato a presiederla. 

A Luigi Pierantoni è stata intitolata una via di Roma; portano il suo nome anche la caserma della CRI di Roma e l'ospedale di Forlì, che sorge in frazione Vecchiazzano. In una aiuola posta lungo un viale interno dell'ospedale, una colonna alta 2 metri riporta un'epigrafe sul medico e patriota antifascista. 

Anche sulla casa dove Pierantoni abitava a Roma, lapidi ricordano il medico e Raffaele Zicconi, altro martire delle Fosse Ardeatine. Le due lapidi sono state deturpate dai nostalgici del fascismo nella notte tra sabato 13 e domenica 14 settembre 2008. Tra le scritte: "Onore alla RSI" e "Compagni merde". Già l'anno prima, le lapidi che ricordano il sacrificio di Luigi Pierantoni e Raffaele Zicconi erano state ignobilmente deturpate.

martedì 27 settembre 2011

1944-Regina Coeli: ....Non sono un delinquente e quindi non devi vergognarti....

Mia piccola cara, troppe cose ci sono da indovinare nel tuo letterone che ho tanto gradito. Mi dici di aver ripreso l’ufficio, sei stata dunque male? Cosa ti è successo? Mi devi parlare esplicitamente. Scrivi come se parlassimo. Ho ancora bisogno di vivere in casa. Come hai ricevuto il colpo? Cosa hai fatto quando non sono rientrato? In casa come ti sei sistemata? Con chi stavi? Cosa ha fatto Renzuccio? E ora come fai? …. di non mi lasciare all’oscuro, isolato. Se tu mi parli di tutto ciò io ti risponderò, parleremo, e io non sarò più lontano da casa. Non ti addolorare per me. Devi essere invece orgogliosa. Non sono un delinquente e quindi non devi vergognarti. Un ospite di più qui dentro momentaneamente.. rileggi la lettera di zia e quello che ho detto a lei vale pure per te. Cosa fai con zia? Parlami a lungo di tutto ciò. La mia salute è buona. Le medicine che mi hai mandato mi sono più che sufficienti. Credo che non le adopererò tutte. Io non ho avuto gran che. Le conseguenze di tutte le sofferenze di lassù mi hanno portato un po’ di nevrosi cardiaca. Più che altro mi ha detto Gigi è un fatto nervoso, e di fatto credo che con un po’ di valeriana starei a posto. Ho il respiro corto, e ciò mi opprime. Per il resto tutto bene. La coppa come è andata? Metti tutte le provviste a disposizione di zia. Tu mi capisci Ester? Pensa da dove è derivato il mio guaio. Pensa che se disperati, non fossimo dovuti fuggire da casa tua per tante ragioni che tu sai, non mi troverei ora io in questo mare di guai. Non serbo però rancore per nessuno ne astio. Solo vorrei che di questa mia disgrazia non se ne facesse un caso di profitto. Tieniti molto accostata a zia, e seguine tutti i consigli. Te ne troverai bene, sarai contenta, e farai felice me. Ed ora a noi per il resto. Fammi sapere come te la sei cavata per l’olio. Spiegami tutto dettagliatamente. Con Arturo come sei rimasta? Ti ha almeno ringraziato di questo bel servizio? Le tessere le ha avute ? Cosa ha detto di me? Salutamelo tanto. I miei abiti e lo smoking lo hai messo in salvo? Cerca di chiudere tutto in un sacco . Ti ho chiesto altra roba che mi manderai tramite la figlia del mio compagno. Mi raccomando sempre i libri che ti chiedo e la carta bianca. Il mio bocchino e quando mandi qualche cosa mandami un termos con del te. Abbi cura di incartarlo bene. Leggi bene tutte le lettere e non mi fare mancare quanto chiedo. Tutta roba che sta in casa. Non spendere soldi per me. A domani più a lungo.


Ti bacio tanto con affetto insieme a pupetto

Linetto tuo

domenica 25 settembre 2011

Roma occupata scelse la Resistenza (di Mario Avagliano)

Quando iniziai a pubblicare le lettere dal carcere l'unico obiettivo era far conoscere al lettore lo stato d'animo di chi , di lì a poco, sarebbe morto per lasciarci in eredità la libertà dal nazismo. Conoscevo la disputa sulle ragioni dell'attentato, ed anche quella sulla presunta possibilità che se gli autori della strage di via Rasella si fossero consegnati avrebbero evitato la successiva strage delle Fosse ardeatine. Sinceramente per me tutto ciò non ha più importanza, il tempo corre e l'unica mia speranza è che conoscere gli eventi di allora eviti che un giorno tutto ciò che è stato possa tornare.
Mario Avagliano è uno storico, un giornalista , e lo ringrazio perchè contribuisce, con i suoi articoli, a far si che il sacrificio di tanti italiani caduti allora per la libertà non sia stato vano.

Massimo Ciancaglini








Roma occupata scelse la Resistenza


di Mario Avagliano





Rosario Bentivegna, detto Sasà, classe 1922, l’anno della marcia su Roma, è da tutti conosciuto come il partigiano travestito da spazzino che il 23 marzo 1944 fece “esplodere una bomba” in via Rasella. Ma la sua vita è stata molto di più. Antifascista giù durante il Ventennio, combatté nel 1944-45 nella Divisione partigiana Italiana Garibaldi in Jugoslavia e nel dopoguerra fu redattore de “l’Unità” e medico-legale dell’Inca-Cgil nelle vertenze a tutela della prevenzione della salute nei luoghi di lavoro, fino all'impegno internazionale a fianco della Resistenza greca durante il “regime dei colonnelli” e alla lunga militanza nel Pci, che lasciò nel 1986.

Bentivegna, in un confronto serrato con la storica Michela Ponzani, ha ripercorso per la prima volta le tappe della sua vicenda umana e politica in un’autobiografia appassionata, Senza fare di necessità virtù. Memorie di un antifascista (Einaudi, 422 pagine, euro 20), uscita oggi in libreria. (Il Messaggero, 24 settembre 2011)

Da ragazzo lei era un “balilla” entusiasta e pensava che “il Duce ha sempre ragione”, com’era scritto sui muri in tutta Italia. Come è diventato antifascista?

Già a 13-14 anni ero colpito dalla corruzione e dal clientelismo del regime e dalle differenze sociali presenti in Italia. Quand’ero liceale, un amico, Luciano Vella, commentando le schifezze della società, mi chiese se ero fascista. Io gli risposi: “Certo. Queste cose il duce non le sa”. In quel momento esatto, la lampadina mi si accese e capii che non ero più fascista. Successivamente approfondii la questione dal punto di vista storico e filosofico e assieme ad altri ragazzi e ragazze, fondammo il GUM, il gruppo di unificazione marxista, d’ispirazione trotskista. Eravamo tutti iscritti al Guf e al dopolavoro fascista.

Settant'anni fa, il 20 settembre 1941, il suo primo arresto, a seguito di una manifestazione antifascista contro la guerra all’Università di Roma. Un episodio ignorato dalla storiografia.

Quella mattina del 23 giugno 1941 la città universitaria di Roma fu invasa da 3-4mila giovani in divisa dei Guf e in camicia nera, fascisti e antifascisti, che protestavano contro la norma che aboliva il congedo militare provvisorio per gli studenti in regola con gli esami e istituiva la loro chiamata alle armi come “volontari universitari”. Ad un certo punto gli studenti antifascisti, con l’aiuto di alcuni operai, lanciarono in mezzo alla folla manifestini e stelle filanti con su scritto “Abbasso il Duce”, “No alla guerra”, “Viva la Pace”, “Abbasso la Germania”. Gli studenti fascisti, preoccupati dalla nostra iniziativa, si dissociarono e andarono in marcia verso Piazza Venezia per manifestare in favore della guerra, ma la Questura, pensando che fosse un corteo antifascista, pestò e arrestò alcuni di loro. I nostri colleghi fascisti tornarono in Università e noi li aiutammo a rifugiarsi nella cittadella, impedendo l’ingresso della polizia. Più tardi la Questura comprese il clamoroso errore e rilasciò gli arrestati. Il giorno dopo i giornali ignorarono la notizia. Nelle settimane successive la polizia fece indagini a tappeto. Anche io fui arrestato il 20 settembre, con l’accusa di “manifestazioni di propaganda sovversiva”.

Dopo l’8 settembre del ‘43, lei aderì al Pci ed entrò nella Resistenza, con lo pseudonimo di “Paolo”. La rilevanza del movimento resistenziale romano è stata sempre un po’ sottovalutata dagli storici. E’ d’accordo?

Purtroppo c’è stata sempre una riserva “leghista” nel valutare quel periodo, di antipatia nei confronti della capitale. Un po’ come è accaduto per la Repubblica romana del 1849. Invece Roma ha fatto veramente la resistenza. Lo stesso Renzo De Felice, che non è certo uno storico di sinistra, ha riconosciuto che dopo l’8 settembre è stata “l’unica città in cui si era tentata la resistenza armata contro i tedeschi”, con il coinvolgimento dei civili, e che “fu la città con il maggior numero di renitenti” alle leve militari e del lavoro. A seguito dell’occupazione tedesca, le porte di tutta Roma si aprirono per nascondere i soldati italiani. Nel mio libro racconto numerosi episodi in cui noi gappisti fummo aiutati dai romani, soprattutto le donne. Fu importante anche la partecipazione di sacerdoti e suore. Sono note le vicende di don Morosini e di don Pappagallo, uccisi dai tedeschi, ma nessuno cita mai Monsignor Benigno Migliorini, vescovo di Rieti, il quale ordinò pubblicamente ai suoi diocesani di seppellire le salme dei civili assassinati sulle montagne della Sabina nell’aprile 1944, nonostante la minaccia nazista di condanna a morte per chi avesse osato inumare quelle povere salme.

Quando si parla di Resistenza romana, il riferimento a via Rasella è inevitabile.

Spesso mi viene da pensare che a quell’operazione io non avrei dovuto nemmeno prendere parte, perché quando l’obiettivo fu indicato da Giorgio Amendola, mi trovavo ancora a Centocelle, al comando di una formazione partigiana. Al mio ritorno a Roma, il comandante dei Gap Carlo Salinari propose me per l’azione. Oggi, per una strana ironia della sorte, sono rimasto il solo a poterla raccontare. Non rinnego affatto quell’atto “di guerra”, anzi ne sono orgoglioso. Ritengo tuttavia che sia un grosso errore storico limitare la Resistenza romana a via Rasella, che non fu un’azione isolata. Dentro Roma occupata si nascondevano circa 18 mila uomini armati pronti a dare battaglia, di tutti gli orientamenti politici, dai comunisti ai monarchici, come il valoroso colonnello Montezemolo. Potrei citare un elenco infinito di attacchi che vennero condotti contro tedeschi o fascisti, di giorno, di sera, di notte, per strada, al cinema, all’osteria, ovunque se ne presentasse l’occasione. Applicammo alla lettera le direttive del Cln e degli Alleati: “Rendere impossibile la vita all’occupatore”.

L’ex presidente Ciampi ha scritto che l’Italia “non è il Paese” che sognava. In Francia l’ex partigiano Hessel incita i giovani a ribellarsi, in nome degli ideali traditi della Resistenza. E lei?

Sono d’accordo con Ciampi. Soprattutto in riferimento agli ultimi dieci-quindici anni. Così male in questo Paese non mi ci sono mai sentito. Ma io sono contro le ribellioni. Non siamo ai tempi del nazifascismo. La ribellione è un fatto sentimentale. Ci vorrebbe una reazione collettiva di tipo politico, democratico, per restituire la parola al popolo.



(Il Messaggero, 24 settembre 2011)







L'intervista a Benivegna ha occupato su Il Messaggero un'intera pagina, ma il mio colloquio con Bentivegna è stato più ampio. Ecco una versione più estesa:





A colloquio con Bentivegna





di Mario Avagliano





Rosario Bentivegna, detto Sasà, classe 1922, l’anno della marcia su Roma, è da tutti conosciuto come il partigiano travestito da spazzino che il 23 marzo 1944 fece “esplodere una bomba” in via Rasella. Ma la sua vita è stata molto di più. Studente universitario antifascista negli ultimi anni del regime mussoliniano, combatté nel 1944-1945 nella Divisione partigiana Italiana Garibaldi in Jugoslavia e nel dopoguerra fu redattore de “l’Unità”, medico-legale dell’Inca-Cgil nelle vertenze a tutela della prevenzione della salute nei luoghi di lavoro, libero docente in Medicina del Lavoro alla Sapienza, fino all'impegno internazionale a fianco della Resistenza greca durante il “regime dei colonnelli” e alla lunga militanza nel Pci, che lasciò nel 1986.

Bentivegna, in un confronto serrato con la storica Michela Ponzani, ha ripercorso per la prima volta le tappe della sua vicenda umana e politica nel volume Senza fare di necessità virtù. Memorie di un antifascista (Einaudi, 422 pagine, euro 20), uscito oggi in libreria. Un’autobiografia appassionata, in cui affronta anche i nodi e gli aspetti più intimi e privati.

Da ragazzo lei era un “balilla” entusiasta e pensava che “il Duce ha sempre ragione”, com’era scritto sui muri in tutta Italia. Come è diventato antifascista?

Già quando avevo 13-14 anni ero colpito dalla corruzione e dal clientelismo del regime e dalle differenze sociali esistenti, per cui l’”amante” del portiere era considerata una puttana e l’”amica” del capo della polizia una gran dama. Quando scoppiò la guerra di Spagna, non capivo perché il fascismo, che era lo Stato, appoggiava l’insurrezione di Francisco Franco contro il legittimo Stato spagnolo. Anche la politica antisemita di Mussolini mi risultava incomprensibile. All’epoca frequentavo il liceo Vigilio, che si trovava al Ghetto, e avevo diversi compagni di scuola di religione ebraica, tutti bravi “balilla”. Ricordo che la mia famiglia frequentava Renato Sacerdoti, allora presidente della Roma e grand commis della borsa romana, poiché mio zio Giulio Burali d’Arezzo era il suo avvocato. Poi, quand’ero liceale, un amico, Luciano Vella, commentando le schifezze della società, mi chiese se ero fascista. Io gli risposi: “Certo. Queste cose il duce non le sa”. In quel momento esatto, la lampadina mi si accese e capii che non ero più fascista. Successivamente approfondii la questione dal punto di vista storico e filosofico e assieme ad altri ragazzi e ragazze, fondammo il GUM, il gruppo di unificazione marxista, d’ispirazione trotskista. Eravamo tutti iscritti al Guf e al dopolavoro fascista. Usavamo il ciclostile del Guf per stampare il nostro bollettino quindicinale con gli scritti di Lenin e di Trotsky, che poi diffondevamo in zona Trionfale.

Settant'anni fa, il 20 settembre 1941, il suo primo arresto, a seguito di una manifestazione antifascista contro la guerra e dell’occupazione dell’Università di Roma. Un episodio ignorato dalla storiografia.

Quella mattina del 23 giugno 1941 la città universitaria di Roma fu invasa da 3-4mila giovani in divisa dei GUF e in camicia nera, fascisti e antifascisti, che protestavano contro la norma che aboliva il congedo militare provvisorio per gli studenti universitari in regola con gli esami e istituiva la loro chiamata alle armi come “volontari universitari”. Ad un certo punto noi studenti antifascisti, con l’aiuto di alcuni operai, lanciammo in mezzo alla folla manifestini e stelle filanti con su scritto “Abbasso il Duce”, “No alla guerra”, “Viva la Pace”, “Abbasso la Germania”. Gli studenti fascisti, preoccupati dalla nostra iniziativa, si dissociarono e andarono in marcia verso Piazza Venezia per manifestare in favore della guerra, ma la Questura, pensando che fosse un corteo antifascista, pestò e arrestò alcuni di loro. I nostri colleghi fascisti tornarono in Università e noi li aiutammo a rifugiarsi nella cittadella, occupando l’Università e impedendo l’ingresso della polizia. Più tardi la Questura comprese il clamoroso errore e rilasciò gli arrestati. Il giorno dopo i giornali ignorarono la notizia. Nelle settimane successive, però, la polizia fece indagini a tappeto. Anche io fui arrestato il 20 settembre, con l’accusa di “manifestazioni di propaganda sovversiva”, anche se dopo pochi giorni mi rilasciarono con diffida di polizia.

Dopo l’8 settembre del ‘43, lei aderì al Pci ed entrò nella Resistenza, con lo pseudonimo di “Paolo”. I nazifascisti la temevano tanto che le misero una taglia sulla testa di un milione e ottocentocinquantamila lire: una somma gigantesca all’epoca. La rilevanza del movimento resistenziale romano è stata sempre un po’ sottovalutata dagli storici. E’ d’accordo?

Roma ha fatto veramente la resistenza. Purtroppo c’è stata sempre una riserva “leghista” nel valutare quel periodo, di antipatia nei confronti della capitale. Un po’ come è accaduto per la Repubblica romana del 1849. Invece i romani nei nove mesi di occupazione tedesca, tra il settembre del ’43 e il giugno del ’44, sono stati straordinari. Lo stesso Renzo De Felice, che non è certo uno storico di sinistra, ha riconosciuto che, dopo l’8 settembre, Roma è stata “l’unica città in cui si era tentata la resistenza armata contro i tedeschi”, con il coinvolgimento della popolazione, e che “fu la città con il maggior numero di renitenti” alle leve militari e del lavoro. A seguito dell’occupazione tedesca, le porte di tutta Roma si aprirono per nascondere i soldati italiani. Nel mio libro racconto numerosi episodi in cui noi gappisti fummo aiutati dai civili, soprattutto dalle donne. E fu importante anche la partecipazione dei sacerdoti e delle suore. Sono note le vicende di don Morosini e di don Pappagallo, uccisi dai tedeschi, ma nessuno cita mai Monsignor Benigno Migliorini, vescovo di Rieti, il quale scrisse una lettera pubblica di protesta contro i tedeschi e poi ordinò pubblicamente ai suoi diocesani di seppellire le salme dei civili assassinati sulle montagne della Sabina nell’aprile 1944, nonostante la minaccia nazista di condanna a morte per chi avesse osato inumare quelle povere salme.

Quando si parla di Resistenza romana, il riferimento a via Rasella è inevitabile.

Spesso mi viene da pensare che a quell’operazione io non avrei dovuto nemmeno prendere parte, perché quando l’obiettivo fu indicato da Giorgio Amendola, mi trovavo ancora a Centocelle, al comando di una formazione partigiana. Al mio ritorno a Roma, il comandante dei Gap Carlo Salinari propose me per l’azione. Oggi, per una strana ironia della sorte, sono rimasto il solo, tra tutti i compagni che vi parteciparono, a poterla raccontare. Non rinnego affatto quell’atto “di guerra”, anzi ne sono orgoglioso. Ritengo tuttavia che sia un grosso errore storico limitare la Resistenza romana a via Rasella, che non fu un’azione isolata. Dentro Roma occupata si nascondevano circa 18 mila uomini armati pronti a dare battaglia, di tutti gli orientamenti politici, dai comunisti ai monarchici, come il valoroso colonnello Montezemolo. Potrei citare un elenco infinito di attacchi che vennero condotti contro tedeschi o fascisti, di giorno, di sera, di notte, per strada, al cinema, all’osteria, ovunque se ne presentasse l’occasione. Applicammo alla lettera le direttive del Cln e degli Alleati: “Rendere impossibile la vita all’occupatore”.

Nel periodo della Resistenza romana lei conobbe Carla Capponi, che poi avrebbe sposato. Nelle sue memorie racconta il primo bacio.

Fu la sera del 7 novembre 1943. Avevamo organizzato un’azione politica per celebrare la Rivoluzione d’Ottobre. Tappezzammo di vernice rossa il centro di Roma, da piazza del Popolo a piazza Venezia, compresa piazza Montecitorio, dove scrivemmo “W il Parlamento” e “Morte al fascismo”. Carla, con grande coraggio e prontezza, con il pennello tracciò una grande falce e martello anche su una camionetta tedesca. Tornandocene verso casa sua, entrammo nel portone e in quella strana atmosfera gioiosa la accompagnai alla porta e fu lì che, soli nella penombra, ci scambiammo il primo bacio.

Chi è oggi Rosario Bentivegna?

Sono ancora comunista perché credo nel superamento dello stato di cose presenti. Ma sono un comunista libertario, contro tutti i tiranni, contro tutti gli integralismi, anche quello dei comunisti. Nel ’56 ho condannato l’invasione in Ungheria e adesso sono contro la sharia, i kamikaze, i talebani. E fin dal 1948 sono dalla parte d’Israele e ci sto ancora.

L’ex presidente Ciampi ha scritto un libro per dire che l’Italia “non è il Paese” che sognava. In Francia l’ex partigiano Hessel incita i giovani a ribellarsi, in nome degli ideali traditi della Resistenza. E lei?

Sono d’accordo con Ciampi. Soprattutto in riferimento agli ultimi dieci-quindici anni. Così male in questo Paese non mi ci sono mai sentito. Ma io sono contro le ribellioni. Non siamo ai tempi del nazifascismo. La ribellione è un fatto sentimentale. Ci vorrebbe una reazione collettiva di tipo politico, democratico, per restituire la parola al popolo. Ho sempre rifiutato la violenza nella politica. Per questo motivo negli anni Settanta fui minacciato dagli estremisti sia neri che rossi. Ai tempi delle Br, rifiutai la scorta e la Digos mi consigliò di prendere il porto d’armi e di girare con una pistola per difendermi. Ma io lo feci per pochi giorni: quell’affare in tasca mi pesava. Ho sempre pagato di persona la mia coerenza. E ho sempre creduto alla libertà e alla democrazia. http://www.facebook.com/l.php?u=http%3A%2F%2Fmarioavagliano.blogspot.com%2F2011%2F09%2Froma-occupata-scelse-la-resistenza.html&h=xAQAgN5P4AQAKxRlEupKwg_74EYXRTO5AszSJiMI3xygePw

venerdì 23 settembre 2011

1944- REGINA COELI: .... le mie sembianze umane tornano a rifiorire sul mio volto..





Domani vi parlerò dell’istruttoria, e di come credo che vada la faccenda. Il permesso per ottenere il colloquio si deve chiedere a via Lucullo. Ester si tenga in contatto con Lea. (una bottiglia d’olio) (terzo braccio cella n° 367)




Carissimi con quanta ansia ho aspettato e con quale gioia ricevuto il vostro biglietto e le uova, non potete immaginare. Vorrei notizie un poco più estese di tutti , e di Ester, che ho un vago timore che non stia troppo bene. Vi penso tutti ardentemente , ma come potete immaginare , ho lo spasimo di poter riabbracciare pupetto. Io sto bene e mi vado rimettendo. Questa mattina il mio amico mi ha dato un poco di zucchero, e mi sono fatto due uova frullate. Mi sembrava un sogno , dopo tutte le sofferenze ed i patimenti inenarrabili nel vero senso della parola, che ho dovuto sopportare nella triste tomba di lassù. Qui ho aria, luce, compagnia di veri amici che mi hanno sempre sorretto, e che godono nel vedere che le mie sembianze umane tornano a rifiorire sul mio volto. Qui si tutti per uno ed uno per tutti. Mi hanno dato da mangiare, da fumare, e mi hanno assistito sul piccolo disturbo che mi affligge, ricordo questo di lassù. Perciò quello che vi prego è la medicina che vi ho chiesto, e fatemela avere con la massima sollecitudine possibile. E ora all’organizzazione: prendete accordo con le figlie di questo amico mio, e datevi l’appuntamento davanti a questo collegio. A loro potete dare quanti pacchi e quanti biglietti volete, e di qualsiasi volume, anche tutti i giorni. È il padre che insiste perché lo facciate, e voi fatelo pure senza temere di approfittare. Abbiate pazienza e non fatemi mancare quelle piccole comodità che tanto ci occorrono. Vi ho già dato una prima nota. Ecco quanto occorre: una cusciniera, un tovagliolo, una forchetta e un cucchiaio che non possiedo. Un barattolo con un poco di zucchero. Un poco di sale, del formaggio grattato, se è possibile un poco di marmellata, due panni di pupo di quelli grandi che serviranno come tovaglia, un bel pezzo di coppa. Questo come provviste alle quali attingere. Per il mangiare si regoli zia. E le notizie ogni volta. Quando le ragazze del mio amico entrano voi potete aspettare fuori per avere….().

Questo per Ester. Importantissimo e delicatissimo. Mi stacchi dal muro dove l’avevo attaccato dietro il seggiolone della mia scrivania, il quadro della Madonna al quale tengo moltissimo . Lo spolveri bene dietro e davanti, e me lo riponga bene dopo averci tolta la cornice della quale non mi interessa nulla. Mi raccomando…….Madonna che voi pregherete per me e per la mia liberazione. Datemi conferma per la mia tranquillità. Se zia mi potesse fare un dolcetto da dividere con i miei compagni e un poco di vino sarebbe il meno che potrebbe farmi per dimostrare loro la mia riconoscenza. In altra vi darò notizie dettagliate sulla nostra vita in comune e dei nostri colloqui con le altre celle sta di……

mercoledì 21 settembre 2011

1944-Regina Coeli : .....dopo ben 17 giorni di segregazione cellulare....


Carissimi,indirizzo in nome collettivo per non fare torto a nessuno,ed anche perché non ho carta a mia disposizione. Dunque il famoso 7 febbraio come un fesso sono stato fregato. Dopo tre interrogatori che mi hanno ormai collaudato come incassatore di primo ordine anzi fuori classe, è risultato che la mia persona non aveva quella importanza alla quale loro mi volevano fare assurgere. Non sono un terrorista, ne un propagandista, ne appartenente ad alcuna cellula. E’ risultato , quale effettivamente è,che io non ero altro che un punto di passaggio. Nel verbale non hanno menzionato il pezzo di (sapone ?) rosa , perché non l’hanno ritenuto di eccessiva importanza. Non vi fate soverchie illusioni però. La causa ci sarà, e molto probabilmente , anzi sicuramente, ci dovrebbe essere la condanna. Il mio fervido augurio è che questa sia magari di 30 anni. E spero fermamente che sia così soltanto. Ad ogni modo abbiate fiducia e sappiatemi attendere con pazienza e rassegnazione, pregando per la mia salvezza. Io dal canto mio saprò avere pazienza, purché voi non mi facciate mancare (nei limiti del possibile) la vostra assistenza e principalmente le vostre notizie. Qui mi sto rimettendo di gran carriera. Quelle uova di zia, che ho prese tutte frullate, quel poco di mangiare che mi hanno dato i compagni,l’aria e la luce che entra in abbondanza in cella, mi hanno ridato la vita. Dalle porte si chiacchera con le altre celle. Io sto di fronte a Gigi, e siamo in continuo contatto. Nella cella ci stiamo creando tante piccole comodità, e si va avanti discretamente. Qui non siamo volgari delinquenti, ma detenuti politici, quindi (..) è abbastanza elevato e questo è già un gran conforto. Dopo ben 17 giorni di segregazione cellulare, murato vivo in una stanza, solo, maltrattato in maniera eccessiva, adesso che rivedo la luce sono risuscitato. Le botte, la fame, la mancanza d’aria, mi avevano prodotto un poco di nevrosi cardiaca, dalla quale mi vado rimettendo anche perché qui, facendo il morto, sono riuscito a scendere in infermeria,farmi capire alla meglio, e prendere la medicina che poi ho chiesto a voi. Ormai sono fermamente convinto che il peggio è passato. Se dopo la condanna vorranno portarmi via da Roma, si vedrà il da farsi. Voi state sempre tranquilli. Non so perché domenica non mi abbiate fatto pervenire neppure un biglietto. Eppure la strada ve l’ho fatta. Percorrete sempre quella, perché così anche quando uscirà il (padre?) , se io sarò ancora qui, mi porteranno tutti i giorni tutto ciò che volete. Sono loro che pensano già ad una quindicina di persone, e sono ben felici di esservi utili. Ester pensi come poter fare per farle una gentilezza che dimostri la nostra riconoscenza. Se voi consegnate il pacco invece direttamente qui, mi arriva anche con due giorni di ritardo ed in questo caso non azzardatevi a mettere biglietti, se vi preme la mia incolumità, e di farmi ricevere il pacco. Mandatemi la carta che vi ho chiesto, perché devo studiare molto nel riassumere tutta la mia avventura e prepararmi con tutto comodo l’autodifesa che dovrò fare al tribunale. Mi raccomando ad Ester caldamente per il quadro della madonnina di cui le ho parlato ieri. Faccia subito subito e me ne dia conferma immediata per la mia tranquillità. Rispondete a tono a tutto quello che vi chiedo e ringraziate Dio che mi ha dato questa possibilità di comunicare con voi. Per il resto basta per ora. Vi bacio tutti tutti con affetto Vostro Lino.



Carissima zia , ora a te. Sono tranquillo, sereno, contento come non mai, per quello che hai fatto e che hai intenzione di fare nei riguardi di Ester e di pupetto. Questo è quanto mi fa guardare con occhio sereno e sopportare quasi con indifferenza la mia avventura. Quanto ho guadagnato per Ester e pupo, è superiore a quanto ho rimesso per conto mio. Zia, ti ringrazio, come potrei ringraziare la Madonna per la grazia della mia liberazione, e forse potrò anche dimostrarti la mia riconoscenza in maniera più tangibile. Guardami pupo, guidami Ester secondo i tuoi criteri, e fammi stare tranquillo. Per ora niente altro. Mi raccomando le notizie. Adesso è l’una passata, e aspetto con ansia che vengano le quattro per sapere qualche cosa di voi dalle figlie del mio compagno. Spero di non provare la delusione tremenda di ieri. Ti bacia tanto tanto in attesa di leggerti il tuo affezionato Lino.


Cara Anna , te per prima ringrazio per le notizie che mi hai dato circa la nuova sistemazione. Sono veramente confortato e tranquillo e ciò mi da la forza di affrontare questo incognito domani. Ti ringrazio delle tue sigarette veramente provvidenziali. Cerca se ti è possibile di farmele avere sempre, perché qui un pacchetto di nazionali doppio l’ho dovuto pagare 80 lire. Guardami pupetto e fallo venire su sistemato. Ti bacia tanto in attesa di tue notizie. Lino.

martedì 20 settembre 2011

DA VIA TASSO ALLE FOSSE ARDEATINE


DA VIA TASSO ALLE FOSSE ARDEATINE

Fonte: da “ IL TEMPO “ del 2 gennaio 1945









Sui tragici eventi delle fosse ardeatine molto è stato scritto: riportiamo la narrazione di un sottoufficiale tedesco, ascoltata da chi scrive e da altri testimoni, la sera del 24 marzo, all’albergo excelsior: Avevo l’incarico di trasportare con i miei due autocarri i condannati alla fucilazione da Via Tasso fino al luogo dell’esecuzione. I prigionieri avevano le mani legate dietro la schiena. Anche i piedi erano stati legati in modo che i prigionieri potevano muoversi soltanto spostandosi con brevissimi passi o a salti. Furono alzati di peso e gettati sui camion come bagagli. Molti di loro avevano in viso i segni delle sevizie sofferte: ad alcuni mancavano i denti. Per curiosità entrai nelle fosse ardeatine e fui testimone dell’esecuzione di circa sessanta ostaggi. Vennero messi in ginocchio in file da cinque a dieci persone, l’una dietro l’altra. Soldati delle SS passando dietro ad ogni fila, scaricavano il fucile mitragliatore sulla nuca delle vittime. Morirono serenamente, alcuni gridando VIVA L’ITALIA. La maggior parte di loro pregava…un uomo anziano, che seppi essere il generale Simoni, rivolse a tutti parole di conforto… lasciai la grotta perché mi sentivo male fino alla nausea. Più tardi al ritorno alcuni soldati delle SS mi presero in giro per questa mia debolezza ed uno si vantò con me e con gli altri di aver liquidato con lo stesso sistema circa settemila persone, nel corso della sua carriera….

lunedì 19 settembre 2011

LE LETTERE DAL CARCERE

Questo blog è nato per diffondere le lettere che mio nonno scrisse dal carcere prima di essere giustiziato alle fosse ardeatine. Una volta pubblicate, ho voluto che questo blog restasse uno spazio di resistenza, non armata come quella che condusse mio nonno, ma almeno culturale. Tuttavia l'impostazione dei blog rende difficile la ricerca a ritroso, così chi si è collegato ultimamente su queste pagine con l'intenzione di trovare quelle lettere, avrà avuto non poche difficoltà a trovarle.
Da domani riproporrò ogni giorno una di esse affinché l'idea originaria di questo spazio non venga meno.


venerdì 16 settembre 2011

Spread record, ma non è che siamo già falliti?


Spread record, ma non è che siamo già falliti?

Infografica Carlo Manzo e Marco Braghieri
Articolo di Fabrizio Goria
La differenza di rendimento e di affidabilità tra i titoli di debito italiani e tedeschi, lo spread Btp-Bund, ha di nuovo superato quota 400. E, a questi livelli, secondo Royal Bank of Scotland, il debito italiano è già insostenibile. Per un'altra banca poi, Hsbc, la differenza coi Bund tedeschi al netto degli acquisti della Bce, dovrebbe essere innalzata di altri 80 punti. Il che significa che saremmo già ben oltre la soglia di emergenza. Nel nel nostro articolo e nella nostra infografica scopri come siamo passati da quota 125 punti base di cinque mesi fa a superare quota 400.

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14 settembre 2011 - 01:10
L’Italia prende la via di Grecia, Irlanda e Portogallo, almeno nel mercato obbligazionario. Lo spread fra titoli di Stato italiani e tedeschi hanno superato quota 400 punti base. Il differenziale di rendimento fra Btp decennali e Bund di pari scadenza ha toccato quindi «la soglia del bailout». Così infatti era stato definito da Goldman Sachs il livello di 400 punti base di spread di un bond con il corrispettivo tedesco. Ed era stato così per Atene, Lisbona e Dublino. Nel frattempo, ad aumentare sono anche i Credit default swap (Cds) sul debito italiano. I derivati a protezione dal fallimento hanno registrato nuovi massimi a 530 punti base, con una percentuale implicita di default entro cinque anni del 38 per cento. Non deve quindi stupire che sia proprio l’Italia il settimo Paese al mondo più a rischio insolvenza.
L’asta di Btp di oggi martedì ha mostrato tutta la debolezza italiana. Il rendimento promesso agli investitori è stato del 5,60%, in netto rialzo rispetto all’ultima asta di luglio, quando i Btp erano stati collocati al 4,93 per cento. In questa tornata sono stati emessi 6,485 miliardi di euro, oltre 500 milioni sotto il target massimo del Tesoro, che era fissato a sette miliardi. A preoccupare è stato soprattutto il coefficiente bid-to-cover, benchmark dell’appeal presso gli investitori, è calato quasi del 50%, passando dall’1,93 di luglio all’1,279 di oggi. A nulla sono valse le voci, uscite dal ministero dell’Economia e riprese nella scorsa serata dal Financial Times, di un interesse di Pechino nell’acquisto di asset italiani e Btp. Sebbene l’asta del Tesoro non sia stata facile, il risultato è stato ottenuto ugualmente, anche se a un prezzo mai sperimentato prima.
C’è una certezza. A questi livelli, sopra la soglia dei 400 anche, se oggi lo spread ha poi ritracciato tormando sotto questa quota, il debito italiano è già insostenibile. «La soglia dei 400 punti base di spread è stato il parametro oltre il quale sono arrivati i salvataggi di Grecia, Irlanda e Portogallo», spiega la Royal Bank of Scotland in un report dello scorso giugno sulla situazione italiana. Tre mesi fa, tuttavia, la situazione era ben differente. Lo spread Btp/Bund veleggiava ai massimi, anche se questi erano intorno a quota 220 punti base. Oggi martedì, dopo cinque versioni della manovra correttiva di bilancio e dopo l’intervento della Bce a sostegno del mercato obbligazionario, l’Italia ha superato i 400 punti base. «Le azioni della Banca centrale europea, proprio per via del carattere straordinario e limitato nel tempo, non devono essere prese in considerazione in modo significativo nel calcolo del differenziale fra Btp e Bund», spiega la banca Hsbc in un report della scorsa settimana.
Secondo l’istituto di credito, tuttavia, «è possibile calcolare, in base all’esperienza dell’utilizzo del Smp (Securities markets programme, l’acquisto di bond da parte dell’Eurotower, ndr) per Grecia, Irlanda e Portogallo, che il differenziale di rendimento fra i bond italiani e tedeschi, al netto delle operazioni della Bce, debba essere innalzato di 80 punti base». In altre parole, senza Francoforte, l’Italia sarebbe allo stesso punto in cui era Atene a metà aprile 2010, un mese prima del piano di salvataggio da 110 miliardi di euro. Ma sarebbe anche sugli stessi livelli dell’Irlanda nel novembre 2010, pochi giorni prima del bailout da 85 miliardi di euro. Inutile rimarcare che anche per il Portogallo, in marzo, era avvenuto lo stesso iter.
Nei prossimi due anni l’Italia, secondo i dati del Tesoro, vedrà andare a scadenza circa 500 miliardi di euro di debito. Il costo di un incremento di 100 punti di spread, secondo Goldman Sachs, è pari a circa 18 miliardi di euro per il nostro Paese. In altre parole, da giugno a oggi Roma paga 36 miliardi di euro in più di interessi sul rifinanziamento. E questo valore è destinato ad aumentare di pari passo con l’escalation sulla crisi ellenica. Del resto, gli operatori finanziari stanno già prezzando l’eventualità di un avvitamento della situazione italiana. I Cds sull’Italia il 13 aprile erano a quota 135 punti base, secondo i calcoli di Markit. Nello stesso giorno il Portogallo era a 574 punti, l’Irlanda a 536 e la Grecia a 1047. Dopo cinque mesi, Roma ha superato i 500 punti base, toccando un massimo a 530 punti. Questa performance gli sta valendo il settimo posto nella classifica mondiale più a rischio insolvenza e il quarto a livello europeo, dopo Atene, Lisbona e Dublino. 


Leggi il resto: http://www.linkiesta.it/spread-btp-bund#ixzz1Y5xmx19a

giovedì 15 settembre 2011

Referendum per cambiare la legge elettorale, si puo' firmare nei Comuni


Referendum per cambiare la legge elettorale, si puo' firmare nei Comuni
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di Franco Siddi

Referendum per cambiare la legge elettorale, si puo' firmare nei ComuniPer i referendum si puo' firmare nei Comuni. Ma pochi lo sanno e tanti, anche per la semplificazione e distrazione dei media, pensano sia un'operazione di mero schieramento di fazione da esprimere solo se c'e' un banchetto in piazza.  Purtroppo certi temi - non solo questi referendum elettorali ma ancor di più quelli del lavoro e dei suoi valori morali e materiali - stentano a entrare nelle agende dei media e  trovare adeguata trattazione di  di base e di confronto nei canali dell'informazione pubblica e privata.
Per questo ho deciso di rendere una pubblica testimonianza di miei convincimenti e di una mia scelta personale: ho firmato per i referendum elettorali che mirano all'eliminazione delle norme che oggi prevedono un parlamento di eletti senza possibilita' effettiva di scelta, meglio note come "legge porcata" e il ritorno al cosiddetto "mattarellum" (collegi uninominali e quota proporzionale), il passaggio più rapido possibile a un ritorno all'effettivita' della delega popolare di base. Una scelta - ripeto personale - nella convinzione che vada in direzione del bene del Paese e della nostra terra, che tiene insieme i cittadini tanto più quanti sono rappresentate le comunita' locali. Ho firmato negli uffici del mio Comune di residenza, Selargius, dell'area metroplitana di Cagliari, in un clima di cordialita', efficienza e di un certo stupore. Ho scoperto che poco o nulla si sa di questa opportunita' di scelta per la sottoscrizione dei quesiti referendari. Firmare nel Comune, e non solo nei banchetti, dei promotori e' opzione di grande garanzia per tutti, sulla trasparenza e certificazione dell'operazione come sull'istituzionalizzazione immediata di una scelta di partecipazione democratica. In tempi come questo il riferimento dei Comuni, primi presidi della democrazia deliberante, assume un significato speciale per chi ritiene utile un cambiamento elettorale che riparta dalla partecipazione e dalla formazione di una rappresentanza parlamentare connessa nei fatti, e non solo nelle forme, ai territori e ai suoi abitanti. Purtroppo certi temi - non solo questi referendum elettorali ma ancor di più quelli del lavoro e dei suoi valori morali e materiali - stentano a entrare nelle agende dei media e  trovare adeguata trattazione di base e di confronto nei canali dell'informazione pubblica e privata. Ecco rendo testimonianza di una scelta nell'auspicio che altre concorrano a bucare i muri del silenzio e voci diverse si spendano nel confronto tra opzioni nei media. Credo che questo tempo difficile non possa essere vissuto solo adeguando i registri agli orientamenti dei vari centri di potere costituito, ne' pensando che oltre ci sia solo una folla tumultuante da respingere o da alimentare a seconda degli interessi che si vogliono favorire. Una puntuale e plurasticamente aperta informazione sui referendum elettorali trova ragione nella natura stessa del movimento in campo e nell'idea civica le folle tumultuanti debbono poter diventare da subito folle deliberanti di una corretta e efficiente democrazia rappresentativa, senza deleghe fuori controllo.

Non si finisce mai di morire per la libertà

Chi era Giancarlo Siani?
Giancarlo Siani era un giovane giornalista pubblicista napoletano. Fu ucciso a Napoli, la sera del 23 settembre 1985, sotto casa, nel quartiere residenziale del vomero: aveva compiuto 26 anni il 19 settembre, pochi giorni prima.
Appartenente ad una famiglia della borghesia medio-alta napoletana, Siani, aveva frequentato con ottimo profitto il liceo classico al "Giovanbattista Vico" dove, alla cultura classico-umanistica aveva affiancato quel fermento politico dei movimenti della sinistra studentesca, conosciuto come "i ragazzi del 77" dal quale si distacco' per un passaggio attraverso i movimenti non violenti.
Si era iscritto all'Universita' e, contemporaneamente, aveva iniziato a collaborare con alcuni periodici napoletani, mostrando sempre spiccato interesse per le problematiche sociali del disagio e dell'emarginazione, individuando in quella fascia il principale serbatoio della manovalanza della criminalita' organizzata, "la camorra".
Inizio' ad analizzare prima il fenomeno sociale della criminalita' per interessarsi dell'evoluzione delinquenziale delle diverse "famiglie camorristiche", calandosi nello specifico dei singoli individui. Fu questo periodo che contrassegno' il suo passaggio dapprima al periodico "osservatorio sulla camorra" rivista a carattere socio-informativo, diretta da Amato Lamberti e successivamente al quotidiano "Il Mattino", come corrispondente da Torre Annunziata presso la sede distaccata di Castellammare di Stabia, Comune di oltre 90mila abitanti, distante una decina di chilometri da Torre Annunziata. E cosi Siani inizio' a frequentare quella redazione, trattenendosi a scrivere lì i propri articoli: in pratica faceva vita di redazione, pur non potendo ufficialmente, essendo solo un corrispondente.
Ma era accettato, non soltanto perche' si sapeva che di lì a qualche tempo il Direttore avrebbe firmato la lettera d'assunzione, ma perchè Giancarlo si faceva accettare per il suo modo di essere allegro, gioviale, sempre disponibile, sempre pronto ad avere una parola per chiunque, di conforto o di sprone, nella gioia come nella tristezza. Comunque le voci giravano: si sapeva che era soltanto questione di pochi mesi, un anno al massimo e Giancarlo sarebbe stato assunto. Fu in questo lasso di tempo che Siani scese molto in profondita' nella realta' torrese senza tralasciare alcun aspetto, compreso e forse soprattutto quello criminale, che anzi approfondi' con inchieste sul contrabbando di sigarette e sull'espansione dell'impero economico del boss locale, Valentino Gionta.
Un'esperienza che lo fece diventare fulcro dei primi e temerari movimenti del fronte anticamorra che sorgevano. Promotore di iniziative, firmatario di manifesti d' impegno civile e democratico, Siani era divenuto una realta' a Torre Annunziata: scomodo per chi navigava nelle acque torbide del crimine organizzato, d'incoraggiamento per chi aveva una coscienza civile, ma non aveva il coraggio per urlare.
Lui, invece, urlava con i suoi articoli, urlava con umilta', ma paradossalmente riusciva ad insinuarsi. Aveva capito che la camorra s'era infiltrata nella vita politica, della quale riusciva a regolare ritmi decisionali ed elezioni. La decisione di ammazzarlo fu presa all'indomani della pubblicazione di un suo articolo, su "Il Mattino" del 10 giugno 1985 (clicca sul bottone…) relativo alle modalita' con le quali i carabinieri erano riusciti ad arrestare Valentino Gionta, boss di Torre Annunziata (attualmente in carcere condannato all'ergastolo) Siani spiego' che Gionta era diventato alleato del potente boss Lorenzo Nuvoletta (deceduto) , amico e referente in Campania della mafia vincente di Toto' Riina.
Nuvoletta aveva un problema con un altro potente boss camorristico con il quale era giunto sul punto di far scoppiare una guerra senza quartiere. L'unico modo di uscirne era soddisfare la richiesta di costui e cioe' eliminare Gionta. Nuvoletta che non voleva tradire l'onore di mafioso, facendo uccidere un alleato, lo fece arrestare, facendo arrivare da un suo affiliato una soffiata ai carabinieri. Siani venne a conoscenza di questo particolare da un suo amico capitano dei carabinieri e lo scrisse, provocando le ire dei camorristi di Torre Annunziata. Per non perdere la faccia con i suoi alleati di Torre Annunziata, Lorenzo Nuvoletta, con il beneplacito di Riina, decretò la morte di Siani.
L' organizzazione del delitto richiese circa tre mesi, durante i quali Siani continuo' con sempre maggior vigore la propria attivita' giornalistica di denuncia delle malefatte dei camorristi e dei politici loro alleati, proprio nel momento in cui piovevano in Campania i miliardi per la ricostruzione delle zone colpite dal terremoto del 1980. Questa e' la verita' giudiziaria dimostrata dagli inquirenti 8 anni dopo il delitto, con la collaborazione di alcuni pentiti e confermata per tutti gli imputati, (con la sola eccezione del boss Valentino Gionta,) nei tre gradi di giudizio con una serie d'ergastoli. Ma sicuramente dietro l'uccisione del giornalista Siani ci sara' anche dell'altro………

mercoledì 7 settembre 2011

False illusioni


Tra Cielo e Terra - Cisco e la Casa del Vento

La musica può fare riflettere, sognare,capire e ricordare.
"Tra Cielo e Terra" di Cisco e la Casa del Vento è la canzone che ci ricorda
le grandi delusioni di chi negli ultimi anni ha visto traditi ideali ed aspettative. Per colpa di trasformazioni da parte di una Sinistra che, governando il paese ha occupato il potere, senza sapere incidere per il bene delle persone e delle classi più deboli.


Perché continuate a farci sperare
Perché non ci fate davvero vedere
La vera faccia che nascondete
Per tutto il cielo che ci prendete.

Dimenticate la vostra storia
Per un'improbabile effimera gloria
Perché ora è giusto tenere il potere
Tenere al caldo il vostro sedere.

E' già cominciato il lento declino
Tra cielo e terra mi tocca guardare
Così nella polvere l'infastuo destino
Tradito nel sogno e nell'ideale.

Levando sul tenero dei sentimenti
Per una moneta che va a rafforzare
Ma in tanto qui in basso senza cambiamenti
Tra cielo e terra si va a soffocare.

Tra cielo e terra
Tra cielo e terra...

Comprate, mangiate è in offerta speciale
Non c'è discussione avete ragione
Perché io dovrei prendere così a cuore
Il vostro delirio è un sogno che muore.

E vi ringraziamo casta d'industriali
Che avete ingabbiato i nostri ideale
Fortuna che almeno alla televisione
Ci fate due palle tra quiz e pallone.

I vecchi che vivono con poca pensione
Esige rispetto la classe operaia
Ed il vostro Dio non mi ha dato mai dato mai udienza
La bandiera dei giusti ha un altro pensare.

E a voi che vi importa del nostro dolore
Tra cielo e terra coi nostri martelli
E' intriso di unto il rosso sudore
Meglio la falce dei vostri coltelli.

Tra cielo e terra
Tra cielo e terra...

Saprò come alzarmi di nuovo da terra
Anche se il mio passo farà compassione
Malgrado io perda di nuovo la guerra
Vedrò di fugare la disperazione.

E a voi che vi importa del nostro dolore
Tra cielo e terra coi nostri martelli
E' intriso di unto il rosso sudore
Meglio la falce dei vostri coltelli.

Tra cielo e terra
Tra cielo e terra...

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