lunedì 9 luglio 2012

Salvò 2500 bambini dal ghetto di Varsavia, è la “Schindler al femminile” – Il Fatto Quotidiano

Salvò 2500 bambini dal ghetto di Varsavia, è la “Schindler al femminile” – Il Fatto Quotidiano


Salvò 2500 bambini dal ghetto di Varsavia, è la “Schindler al femminile”

L'eroina della seconda guerra mondiale morta a 98 anni nel 2008, fu riscoperta per caso, 13 anni fa, da un gruppo di ragazze del Kansas che preparavano una ricerca di storia. Ora, dopo film e documentari, a ricordarla, anche una voce dell'Enciclopedia britannica

Irena_Sendler_interna nuova
Non smette di far parlare di sé Irena Sendler, l’eroina della seconda guerra mondiale morta a 98 anni nel 2008, dopo essere stata riscoperta per caso, 13 anni fa, da un gruppo di ragazze del Kansas che preparavano una ricerca di storia. A narrare l’epopea della donna polacca che salvò 2.500 bambini ebrei dal ghetto di Varsavia, arriva anche l’Encyclopaedia Britannica, il cui motto è “Facts matter” (I fatti importano), che, nella sua versione online, le ha recentemente riservato una voce.
Irena entrò nello Zegota, il Consiglio clandestino polacco di aiuto agli ebrei, nel ’43. Grazie al suo lavoro di assistente sociale poté introdursi nel ghetto della capitale e portar via, nascondendoli con incredibili trucchi, migliaia di bambini destinati a morte certa, di stenti o nei campi di concentramento. Non era sola: Irena fu aiutata da coraggiosi collaboratori e da una rete di famiglie non ebree disposte a ospitare i bambini, ribattezzati con nomi non sospetti. Le vere identità furono trascritte e sepolte dentro barattoli in un giardino. Dopo la guerra, Irena, che nel frattempo era stata torturata dai nazisti ed era scappata poco prima dell’esecuzione, non riuscì a riconsegnare ogni bimbo alla propria famiglia: molte, infatti, non c’erano più.
la copertina del film "The corageous heart of Irena Sendler" del 2009
E’ una storia incredibile, quella di Irena, fatta di coincidenze salvifiche. Basti pensare che il 23 settembre 1999 perse il figlio Adam. Ma fu anche il giorno esatto in cui, dall’altra parte del mondo, in una cittadina del Kansas rurale e depresso, Uniontown, tre ragazze della highschool, al lavoro per un compito, scoprivano la sua storia, accennata in un articolo di giornale. L’hanno cercata, l’hanno trovata, le hanno scritto, sono andate a visitarla. E così è nato The Irena Sendler Project, che da oltre 10 anni porta in giro per States e Europa lo spettacolo “Life in a Jar”(La vita in un barattolo). Ha eventi in programma fino al 2015 e Megan Stewart Felt, una delle 3 ragazze che fecero la ricerca, ha ancora la parte di Irena. Da allora Irena ha ispirato vari libri, due film (uno è “The corageous heart of Irena Sendler” del 2009, protagonista Anna Paquin) e ha conquistato una candidatura al Nobel per la Pace, nel 2007.
“Siamo sempre meravigliati dal raggio d’azione della storia di Irena. Il nostro sito riceve email a ogni ora del giorno. Siamo fieri di aver condiviso il lascito di Irena col mondo” ha dichiarato aIlfattoquotidiano.it Norman Conard, il professore di storia che nel ’99 assegnò alle 3 studentesse la ricerca che avrebbe cambiato per sempre le vite loro e di Irena. “Era destino… ci sono così tante ironie in tutto ciò. La tempistica era ed è ancora perfetta” conclude Conard, che ha lasciato l’insegnamento per dedicarsi al Lowell Milken Center, una fondazione per la riscoperta degli eroi dimenticati.
Ma come è possibile che la storia di questa Schindler al femminile sia rimasta sepolta per 60 anni? “I polacchi che fecero la resistenza furono considerati “nemici dello Stato” dai russi, perché connessi al governo polacco in esilio a Londra e all’occidente. Molte donne della cospirazione di Irena dopo la guerra furono torturate dai russi. Non fu che alla fine della guerra fredda che la storia dello Zegota divenne nota fuori dalla Polonia”, ci spiega a Mary Skinner, la regista statunitense, figlia di una deportata polacca, che ha diretto il docufilm “Irena Sendler – In the name of their mothers” (2011), che ritrae Irena nelle ultime interviste rilasciate prima di morire.

martedì 3 luglio 2012

Io sono l’ultimo. Lettere di partigiani italiani

Dal Blog di Mario Avagliano


Io sono l’ultimo. Lettere di partigiani italiani

A sessant'anni da Lettere di condannati a morte della Resistenza italiana di Malvezzi e Pirelli, Einaudi propone una nuova emozionante antologia: la piú grande epopea della nostra storia raccontata dalle voci dei suoi ultimi protagonisti.
Il libro si chiama Io sono l’ultimo. Lettere di partigiani italiani (pp. 332, euro 18), ed è curato da Stefano Faure, Andrea Liparoto e Giacomo Papi. Oltre cento lettere piene di amore, amicizia, di odio e violenza. Un indimenticabile racconto corale sul fascismo, la libertà e la democrazia. I partigiani, prima di tutto, erano giovani. Si innamoravano, scoprivano di avere paura e coraggio. In queste lettere, raccolte con la collaborazione dell'Anpi, i testimoni viventi della Resistenza raccontano le torture, le bombe, i rastrellamenti. Ma anche la nascita di un bambino, un bacio mai dato, il piacere di mangiare o ridere in classe del Duce.
Un racconto emozionante, vivo, collettivo che arriva dal passato per parlare al presente. Il ricordo della guerra di Liberazione diventa giudizio sull'Italia di oggi. Come ha scritto Paola Doriga su la Repubblica: “Le loro storie sono la nostra memoria. Le storie dei nostri nonni, che ci hanno raccontato quando magari non avevamo voglia di ascoltare, e che adesso non sappiamo dire quanto ci dispiace non potere più ascoltare. Le storie dei nostri nonni o dei nonni che ci siamo scelti, arrivate con una parola, con un libro, con una canzone”.
La prefazione di Andrea Liparoto – Responsabile comunicazione ANPI Nazionale:
 
“Le pagine che avete davanti sono indirizzate ai giovani.
A loro i partigiani raccontano, a loro intendono affidare così un “testimone” che sia forza di futuro, continuità di sogno e impegno per realizzarlo: un Paese di persone uguali nei diritti e libere. L’Italia della Costituzione, eredità immensa e imprescindibile della Resistenza.
Per tutto ciò l’ANPI ha convintamente aderito alla proposta di Einaudi di collaborare a questo progetto editoriale, attivando memoria e “antica” responsabilità degli ultimi protagonisti viventi della guerra di Liberazione, prontamente disponibili a ripercorrere strade e lotte straordinarie. Proprio per loro, per i ragazzi e le ragazze di oggi. In tanti, con la svolta del Congresso di Chianciano Terme del 2006 – che ha aperto le porte dell’A.N.P.I. anche ai non partigiani – sono entrati a far parte della nostra Associazione. Oggi su un totale di quasi 130.000 iscritti, i giovani tra i 18 e i 30 anni sono circa 25.000. La loro è una ricerca pressante di valori forti e limpidi su cui investire giorni e speranze. Hanno voglia di fare ed esserci. Di costruire, e partecipare.
Ci piace, perciò, pensare a questo libro come a una “piazza delle radici” dove dare appuntamento ai giovani.
Per intrattenerli e per incoraggiarli.
E offrire un sentiero”.



Stori@ - il blog di Mario Avagliano: Io sono l’ultimo. Lettere di partigiani italiani: A sessant'anni da Lettere di condannati a morte della Resistenza italiana di Malvezzi e Pirelli , Einaudi propone una nuova emozionante an...

CONDIVIDI