mercoledì 18 dicembre 2013

Il valore della memoria di pochi contro il valore dell'ignoranza di molti

Storie - L'Eredità su RaiUno e i Mostri della Memoria

di Mario Avagliano 

Frequentando le scuole da anni per i miei tour della Memoria, la paradossale scena di qualche giorno fa nel corso della trasmissione “L’Eredità” su Rai Uno, condotta da Carlo Conti, in cui tutti i giovani concorrenti non hanno saputo indicare la data di nomina a cancelliere di Adolf Hitler (1933), scegliendo ciascuno le altre improbabilissime opzioni (1948, 1964, 1979), non mi ha sorpreso più di tanto. Proprio un paio di settimane fa, in una scuola del Lazio, in un’aula magna colma di studenti, ho provato a chiedere la data della marcia su Roma delle camicie nere di Mussolini (1922), dando per scontato che qualcuno la conoscesse, e invece in sala è calato un imbarazzante silenzio. 

Carlo Conti ha commentato in diretta: “Sono senza parole. Io farei un ripassino di storia”, e il video dell’Eredità, giustamente, ha fatto il giro dei social network, ricevendo circa 800 mila click su Youtube e suscitando indignazione in molti. Ma indignarsi non basta. L’ignoranza genera mostri della Memoria, come le affermazioni dell’esponente dei Forconi sui banchieri ebrei che egemonizzerebbero il nostro Paese. E’ evidente quindi che la scuola, gli storici, i giornalisti, le associazioni e anche le istituzioni abbiano molto lavoro da fare. Lo stesso Giorno della Memoria va ripensato, in modo meno rituale e stanco, rendendolo più vivo, partecipato, informato. E utilizzando meglio lo strumento libro e l’approfondimento e l’analisi storica. Un segnale positivo lo ha dato il governo varando una norma che, se sarà confermata, come è il mio auspicio, consentirà di detrarre fiscalmente per il 19% l’acquisto di libri nel corso dell’anno per una spesa massima di 2mila euro. Una delle armi che ci resta, è la lettura. Citando Woody Allen: “Leggo per legittima difesa”. 

(L'Unione Informa e Moked.it del 17 dicembre 2013)

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martedì 17 dicembre 2013

VIA TASSO BENE COMUNE. LIBRI IN OMAGGIO AI SOSTENITORI DEL MUSEO

VIA TASSO BENE COMUNE. LIBRI IN OMAGGIO AI SOSTENITORI DEL MUSEO

7 dicembre 2013 alle ore 18.04

VIA TASSO BENE COMUNE. L'ALBUM "VIA TASSO: DA CARCERE A MUSEO" (O ALTRI LIBRI) IN OMAGGIO A CHI SOTTOSCRIVE PER IL MUSEO


Avere ottenuto che anche per il 2013 Regione Lazio e Roma Capitale mettessero in bilancio il contributo per il Museo non risolve tutti i nostri problemi. A fronte dell'aumento dei nostri servizi e della qualità delle nostre iniziative, noi abbiamo comunque necessità di fare fronte alle spese di gestione.

A tutti coloro che sottoscriveranno per il Museo una quota minima di € 10 (più € 3 per spese postali) verrà inviata in omaggio una copia del recentissimo album VIA TASSO: DAL CARCERE AL MUSEO. La copia potrà, volendo, essere ritirata direttamente all'ingresso del Museo risparmiando le spese postali.

Sono disponibili alle stesse condizioni MESSI AL MURO. I manifesti di guerra della collezione del Museo, a cura di Alessandra Olivieri (Il Granatiere, Roma 2011) (nome in codice per la causale MANIFESTI) e I MURI RICORDANO. La Resistenza a Roma attraverso le epigrafi, di Giuseppe Mogavero, Massari editore, Bolsena (VT) 2002 (nome in codice per la causale EPIGRAFI)


c/c 51520005 Intestato a: Museo storico della Liberazione, via Tasso 145 – 00185 Roma Causale: CONTRIBUTO VOLONTARIO ALBUM (oppure MANIFESTI, oppure EPIGRAFI)

Bonifico
IBAN: IT 39 T 07601 03200 000051520005
Causale: CONTRIBUTO VOLONTARIO ALBUM (oppure MANIFESTI, oppure EPIGRAFI)

venerdì 6 dicembre 2013

Addio Mandela

"La morte è inevitabile. Quando un uomo ha compiuto quello che ritiene essere il suo dovere nei confronti della sua gente e del suo Paese, può riposare in pace. Penso di essermi impegnato in tal senso ed è per questo che potrò dormire sereno per l’eternità".

Nonno ti dedico questo pensiero di Mandela. Se avrai la fortuna di incontrarlo lassù digli che anche tu hai fatto la tua piccola parte.

martedì 22 ottobre 2013

I SEDICI SICILIANI CHE PRIEBKE FECE FUCILARE ALLE ARDEATINE. (La repubblica.it)

I sedici siciliani che Priebke fece fucilare alle Ardeatine

SONO sedici i caduti siciliani alle Fosse Ardeatine in quell' alba tragica del 24 marzo 1944, eccidio tornato in prima pagina con la morte di Erich Priebke, l' ufficiale delle SS, braccio destro del comandante Kappler e boia della spietata esecuzione. Due di loro sono stati iscritti tra le vittime dopo l' esame del Dna sulle salme in anni recenti. Tutto ha origine in via Rasella il pomeriggio del 23, quando il partigiano Rosario Bentivegna, in codice Paolo, studente in medicina, travestito da spazzino giunge nella strada con il carretto contenente l' ordigno che alle 15,52 fa esplodere accendendo la miccia con il fornello della sua pipa nell' attimo in cui passa il convoglio tedesco. È strage, bilancio: 33 militari tedeschi dilaniati. Per ritorsione, secondo la legge della decimazione, le SS mettono davanti al plotone di esecuzione 335 innocenti italiani, prelevati tra i prigionieri, politici e non, delle carceri romane. Li conducono nelle cave della pozzolana per il viaggio senza ritorno. SEGUE PAGINA XIII Imartirisiciliani delle Fosse Ardeatine sono inclusi in tre distinti elenchi. Nel primo, dove sono annoverate 154 vittime (prelevate tra i carcerati che sono a disposizione dell' Aussenkommando perché sotto inchiesta), ne troviamo undici. Ecco i nomi e i profili: Vito Artale, palermitano, medaglia d' oro al valore militare, tenente generale di Artiglieria, tradotto in carcere nel dicembre del 1943, per aver sabotato gli impianti delle Vetrerie d' ottica del Regio esercito, di cui è dirigente. Ha messo in atto la manomissione per evitare che i macchinari cadessero in mano nemiche. Altro palermitano medaglia d' oro, originario di Misilmeri, è il corazziere Calcedonio Giordano, arruolato nella legione dei Carabinieri regi. Dopo aver portato a termine importanti missioni militari, dopo l' 8 settembre si ritrova tra i gruppi di militari sbandati al seguito del generale Filippo Caruso. Nel febbraio del 1944 viene arrestato anche il sottufficiale di Pubblica sicurezza, brigadiere Pietro Ermelindo Lungaro, medaglia d' argento, di Trapani, uomo di collegamento con le nascenti formazioni antifasciste del Partito d' azione capeggiate dal maggiore dell' Aeronautica Umberto Grani. La SS tedesche lo arrestano mentre è in caserma e lo conducono nella prigione di via Tasso, poco prima dell' esecuzione. Anche il maggiore dell' esercito Carlo Avolio, grande invalido, mutilato e pluridecorato della "Grande guerra", nato a Siracusa, impiegato, aderisce alla Resistenza nelle file del Partito d' azione. Purtroppo nel gennaio del 1944 per una delazione finisce in carcere, da dove è prelevato per la fucilazione. Sempre alla fine di gennaio, forse il 28, viene arrestato il tenente colonnello Giovanni Rampulla, nato a Patti, militante del Fronte militare clandestino. Nello stesso periodo finisce in manette Nunzio Rindone, pastore trentenne di Leonforte (Enna), arrivista della Formazione "Isolato". E Rosario Petrelli meccanico di Caltagirone iscritto al Partito Comunista clandestino che contrasta l' occupazione tedesca di Roma. A febbraio toccaa Raffaele Zicconi, classe 1911, finire nel carcere di Regina Coeli, terzo braccio, cella 367. La sua colpa? È un partigiano del Partito d' azione. Siciliano affabile, dagli amici è chiamato affettuosamente Lino. È originario di Sommatino (Caltanissetta), ma risiede a Roma, dove è impiegato alle Poste. Nel ' 41 ha sposato Ester Aragona con la quale ha avuto un figlio, Renzo. Il piccolo ha appena due anni quando Pribke lo rende orfano e la sua sorellina, in grembo alla madre nel tragico momento della fucilazione, è destinata a non conoscere il papà. La storia di Zicconi riemerge dal buio grazie alle sue lettere scritte dal carcere e recuperate dal nipote Massimo Ciancaglini. Il 15 febbraio vengono incarcerati altri due siciliani: Gaetano Butera e Leonardo Butticè. Il primo, nativo di Riesi (Caltanissetta) decoratore di professione, dopo l' 8 settembre si trova a Roma in servizio al 4° reggimento carristi; partecipa alla difesa della città e confluisce dopo l' 8 settembre nelle Bande armate del Lazio. Caduto in un' imboscata, finisce nelle carceri di via Tasso da dove poi "esce" per la fucilazione. Successivamente gli verrà attribuita la medaglia d' oro al valore militare. Leonardo Butticè, agrigentino di Siculiana, fa il meccanico. L' incontro con la fidanzata Aida Romagnoli gli cambia la vita. Aderisce ai Gap delle Brigate Matteotti e da partigiano opera nel Comando dell' Ottava Zona del Quadraro. Su segnalazione di un delatore, è arrestato. Altra figura di spicco della Resistenza romana, imprigionato su delazione nel febbraio del 1944, è Ferdinando Agnini, studente di Medicina, catanese, tra i fondatori dell' Associazione di universitari di carattere progressista. Il gruppo svolge compiti di reperimento delle armi e si occupa di propaganda antifascista e di azioni di sabotaggio sulle vie Nomentana, Salaria, Prati. La sua cattura viene decisa dai gerarchi nazifascisti dopo che si è attivato per dare vita insieme a Maurizio Ferrari al Comitato di agitazione studentesca, per contestare l' esclusione dagli esami degli antifascisti. Ai primi di febbraio del 1944 entra a far parte della Brigata Garibaldi del Pci. Catturato, viene rinchiuso in cella col padre, che però viene risparmiato. In un secondo elenco, formato da 23 persone a disposizione del tribunale militare tedesco in attesa di giudizio, sono inseriti altri due siciliani: Sebastiano Ialuna (o Ioluna), in carcere dai primi di marzo, e Santo Morgano. Il Ialuna nativo di Mineo, figlio di Agrippino e di Grazia Salerno, è un giovane agricoltore benestante di 23 anni. Come molti richiamati alle armi è di stanza nella zona di Roma. Dopo l' 8 settembre da sbandato vagabonda per la campagna romana, trovando rifugio in casolari di amici e di parenti. Per una spiata, in seguito ad un rastrellamento, nel febbraio del 1944 viene tradotto a Regina Coeli. Come lui anche il ventitreenne Santo Morgano, figlio di Antonio, nato a Militello e coinvolto nella Resistenza dopo lo sbandamento. È tra gli sfortunati presi di mira per la fucilazione alle Fosse. Nell' ultimo elenco di 10 persone, arrestate il 23 marzo perché catturate nei pressi di via Rasella, subito dopo la strage dei militari tedeschi, è inserito Cosimo D' Amico. Trentasettenne di Catania, amministratore teatrale; il tempo di transitare per il carcere e all' alba del 24 marzo si ritrova davanti al plotone d' esecuzione. Infine tra le 12 vittime ancora non identificate, c' è il siciliano Salvatore La Rosa di Aragona (Agrigento). Sepolto nella tomba numero 273, dopo l' accertamento sulle ossa tumulate, si è scoperto che il suo dna combaciava perfettamente con quello fornito dalla figlia Angela Alaimo La Rosa. L' anno scorso infine le analisi del Ris dei carabinieri di Roma, sempre grazie al dna, hanno portato al riconoscimento di un' altra salma siciliana: Michele Partito, civile, nato a Casteltermini (Agrigento) nel 1914. Forse finito per caso nella lista della decimazione. Sedici eroi che in quel frangente drammatico della Storia hanno scelto di stare dalla parte giusta mettendo a repentaglio le proprie vite. Martiri a cui la Sicilia non ha riservato il giusto riconoscimento. Non è mai troppo tardi per onorare, e perpetuare, la memoria di chi ha immolato la propria vita per la causa della libertà. Ci piace ricordare il sacrificio di questi martiri con le stesse parole incise sulla lapide commemorativa del sacrario delle Fosse Ardeatine: "Figli portate con fierezza il ricordo dell' olocausto dei padri se lo scempio su di noi consumato sarà servito al di là della vendetta a consacrare il diritto all' umana esistenza contro il crimine dell' assassinio".
TANO GULLO CARMELA ZANGARA

giovedì 17 ottobre 2013

Carlo Lizzani. Partigiano

Ciao Carlo Lizzani. Partigiano.


Roma, 5 ott. (Adnkronos) - ANPI ROMA.

< Carlo Lizzani diede contributo a cultura democratica Paese. "Partigiano, e' stato un prestigioso collaboratore della rivista dell'Anpi, 'Patria Indipendente', e presidente onorario dell'Anpi romana. Uno dei suoi principali film e' stato 'Achtung! Banditi!', sulla guerra partigiana. Carlo, durante la Guerra di liberazione, era studente universitario e fu molto attivo nella Resistenza a Roma". Cosi' in una nota il Comitato Provinciale dell'Anpi (Associazione Nazionale Partigiani Italiani) di Roma e Lazio, commenta la scomparsa di Carlo Lizzani, ed "esprime le piu' sincere condoglianze alla sua famiglia. Dirigente del Comitato studentesco di agitazione -prosegue l'Anpi- contribui' con la sua attivita' a rendere ancor piu' ramificata l'opposizione armata ai nazifascisti. Grande Ufficiale e Cavaliere di gran croce dell'Ordine al merito della Repubblica Italiana, membro del Pci, Carlo Lizzani fu protagonista del cinema neorealista italiano, dando un grande contributo alla cultura democratica del nostro Paese", conclude l'associazione.>

Ciao Carlo Lizzani. Partigiano.

Fonte: http://www.anpiesquilino.org/2013/10/ciao-carlo-lizzani-partigiano.html

venerdì 11 ottobre 2013

IL TESTAMENTO DI PRIEBKE. - dal sito www.linkiesta.it

Priebke, il testamento choc: “non mi pento di niente”

-di Linkiesta-
Settant’anni dopo nega ancora l’esistenza delle Camere a gas e rilancia gli stereotipi antisemiti
Erich Priebke, il “boia delle Fosse Ardeatine”, morto oggi a Roma all’età di 100 anni, ha lasciato un testamento “umano e politico”. Lo ha diffuso il suo avvocato, Paolo Giachini, che ne aveva anticipato l’esistenza alla stampa, assieme a quella di un video.
La lettera, pubblicata qui sotto, mostra il cinismo di un uomo che a decenni di distanza dall’eccidio delle Fosse Ardeatine non rinnega alcunché del suo passato. Priebke fu condannato nel 1998 all’ergastolo, dopo 50 di latitanza in Argentina, per aver partecipato alla pianificazione e alla realizzazione di una strage in cui furono uccisi 335 civili.
Nella lettera-testamento Priebke nega l’esistenza delle camere a gas nei lager nazisti, ritiene “normale” in anni di guerra rinchiudere popolazioni civili in campo di concentramento, definisce “incredibile” e “disgustoso” il processo di Norimberga e rimarca le accuse di usura e arricchimento a spese dei tedeschi di cui furono oggetto gli ebrei durante il Terzo Reich.
Un documento che decidiamo di pubblicare a testimonianza di come 70 anni dopo il demone dei totalitarismi e del razzismo antisemita non sia estirpato e vada ancora combattuto con forza.

venerdì 27 settembre 2013

Biacchessi e la sua Orazione civile per la Resistenza. Contro ogni revisionismo storico

Biacchessi e la sua Orazione civile per la Resistenza. Contro ogni revisionismo storico

Alla Feltrinelli di Bologna venerdì 27 aprile alle ore 18, la presentazione di un pamphlet incalzante e doveroso sulla guerra di Liberazione in Italia per tenere viva la memoria di libertà e di pace ogni giorno sotto attacco da nuovi fascismi politici e lessicali

Dopo un lungo tour primaverile che ha lambito Centro e Nord Italia (da Roma al Piemonte fino a Monte Sole), approda a Bologna l’Orazione civile per la Resistenza scritta da Daniele Biacchessi(edizione Corvino Meda – Promo Music). L’appuntamento è venerdì 27 aprile (ore 18) alla Feltrinelli di porta Ravegnana. Con l’autore dialogheranno William Michelini dell’Anpi e Paolo Bolognesi, presidente dell’Associazione Vittime 2 Agosto.
Solo presentazione del libro e non il più tradizionale reading alla Biacchessi, come in alcune tappe è avvenuto, per questo lungo weekend resistenziale, ponte festivo (25 aprile-1 maggio) tra date di ricorrenze che paiono antiche e che invece sembrano necessitare, ogni anno che passa, sempre di più, un restyling comunicativo per riaffermare una memoria storica lapalissiana, quella degli eccidi e del violento orrore delle stragi nazifasciste compiute in Italia dal ’43 al ’45, sempre in corso di martellante revisionismo.
“E’ memoria viva, quotidiana, un ponte tra generazioni diverse che vivono o hanno vissuti tempi diversi”, spiega il giornalista di Radio 24 il Sole 24 ore, “E’ un impegno civile, quotidiano, fatto di piccole cose, di gesti, di atti pubblici, soprattutto di parole. Io racconto una storia a te e tu la racconterai ad altri figli, ad altri amici. E fino a quando queste storie avranno gambe per poter camminare, queste storie non moriranno mai. Quando qualcuno si stancherà di raccontarle, queste storie moriranno due volte, con le persone e con le ingiustizie”.
Storia, e orazione, intessute prima di tutto dai luoghi delle stragi (da Boves in Piemonte all’Hotel Meina sul Lago Maggiore, da Marzabotto a Sant’Anna di Stazzema fino alle Fosse Ardeatine), poi di date e di cifre di morte. Numeri disegnati col sangue di partigiani e semplici civili, donne, vecchi e bambini, condannati a morte da un esercito invasore che in un triennio esercitò un’inaudita violenza cancellando dalla faccia della terra l’essenza stessa del senso dell’esistenza umana.
Orazione civile è un pamphlet incalzante, virtuoso e doveroso, soprattutto nel suo volontario interpellare tutta quella lunga lista di saggi che hanno fatto del revisionismo un atto dovuto e parificante rispetto alla lotta resistenziale. “Nel suo libro Il sangue dei vinti, Pansa tace sul come si arriva agli omicidi commessi da una esigua minoranza di ex partigiani nell’immediato dopoguerra. Egli non racconta le violenze delle squadracce fasciste del 1921, la marcia su Roma, i numerosi delitti, i lunghi anni del regime, il carcere, l’esilio, il confino e le condanne a morte degli oppositori, l’emanazione delle leggi razziali contro gli ebrei italiani nel 1938, la fame, la sete, la povertà di un intero popolo, il collaborazionismo del fascismo con il nazismo, l’entrata in guerra, le campagne fallimentari in Russia, Grecia, Albania, Etiopia, Africa Orientale, i bombardamenti e la distruzione delle città, le torture subite dai partigiani da parte delle tante polizie segrete e compagnie di ventura della Repubblica Sociale Italiana, le 2.274 stragi nazifasciste contro civili i cui fascicoli sono rimasti sepolti e occultati per quasi cinquant’anni nel cosiddetto “Armadio della vergogna”, poi ritrovati soltanto nel 1994 nella sede del Tribunale militare di Roma, a Palazzo Cesi, via degli Acquasparta. Pansa non menziona le trattative segrete dei nazisti con gli alleati sul finire della Seconda guerra mondiale, l’arruolamento di criminali nazisti nei servizi segreti americani nell’immediato dopoguerra in funzione anticomunista (Theodor Saevecke, Karl Hass, Karl-Theodor Schütz), neppure l’amnistia del guardasigilli Palmiro Togliatti del 22 luglio 1946 che azzera i crimini compiuti dai repubblichini. Perché nulla di tutto questo si trova nei libri dei nuovi revisionisti? Perché si punta il dito unicamente sugli omicidi degli ex partigiani?”

mercoledì 18 settembre 2013

Una vittoria amara. La corrispondenza di due coniugi resistenti dell'Italia del 1943-1945 di Mario Avagliano

Una vittoria amara. La corrispondenza di due coniugi resistenti dell'Italia del 1943-1945
di Mario Avagliano

Fu davvero amara la vittoria della guerra di Liberazione? Di certo non fu tutta rose e fiori, chewing-gum e caramelle, tricolori e bandiere a stelle e strisce. Ce lo raccontano due italiani resistenti di allora, protagonisti del libro Una vittoria amara (Marlin Editore, pp. 528, euro 18): il generale di brigata Giulio Cesare Tamassia, reduce della Grande Guerra, monarchico, anticomunista di ferro, tra i dirigenti del Fronte militare clandestino romano guidato da Giuseppe Montezemolo, e la moglie Bianca Mazzarotto, originaria di Rovigo, scrittrice d’impronta dannunziana ma più liberal del marito, collaboratrice del movimento partigiano in Veneto. Due esponenti di quella Resistenza militare o moderata (spesso l’uno e l’altra) per troppo tempo cancellata dai libri di storia e avvolta dal silenzio e dall’oblio. A leggere la corrispondenza di Giulio e Bianca e le loro confessioni intime, risulta evidente che nella primavera del 1945 per molti italiani la gioia della riacquistata libertà ebbe un certo retrogusto asprigno, dovuto agli strascichi dolorosi della campagna d’Italia e alle violenze della guerra civile, ma anche alle case distrutte dai bombardamenti, ai parenti e agli amici morti, e alla difficile transizione verso la democrazia di un Paese tutto da ricostruire e in quel momento ancora sotto il giudizio (e sotto lo schiaffo) degli Alleati. Il libro segue, quasi sotto forma di cronaca, il tragico biennio che va dal luglio 1943 al maggio 1945. A scandire gli avvenimenti, è il sapiente intercalare nel carteggio tra i due coniugi e di altri brani tratti dai loro diari, amorevolmente raccolti e ordinati dal figlio Renato, terzo protagonista del racconto, anche se parlante solo per interposta persona, data la tenera età (era nato nel pieno della guerra, nel dicembre del 1940). Dopo l’8 settembre, è l’ora delle scelte per chi è di carriera militare o è sotto le armi. Il cinquantaduenne Giulio, che si trova a Trieste, potrebbe, come milioni di italiani dell’epoca, entrare nella “zona grigia” dell’equidistanza, oppure aderire alla neonata Repubblica Sociale. Invece decide di partecipare alla guerra di liberazione. I motivi principali sono la fedeltà al re, l’amor di patria e il desiderio di preservare l’«indipendenza dell’Italia» dall’invasore tedesco. Il 20 settembre parte in treno per Roma e si unisce al Fronte militare clandestino. Tamassia, come Montezemolo, ritiene che nella capitale l’attività più importante da svolgere sia quella di sottrarre uomini alla Repubblica Sociale e svolgere un’efficace azione di spionaggio e di intelligence al servizio del governo del Sud, oltre che predisporre un piano per un trapasso indolore al momento dell’arrivo degli Alleati. «Quanto faccio – annota nel suo diario il 19 aprile 1944 – è assolutamente contrario alle inutili violenze e agli sciocchi delitti. Tende a ristabilire ordine disciplina possibilità di lavoro proficuo, restaurazione di valori morali. Chiedo e cerco l’indipendenza d’Italia e per essa la libertà più assoluta di scegliersi la via più conveniente per ritrovare la sua grandezza vera». Le azioni armate, quindi, almeno nel perimetro della città sono considerate «inutili» perché rischiano di provocare «solo dolorose rappresaglie». Cosa che puntualmente avviene dopo via Rasella, con l’eccidio delle Fosse Ardeatine. Particolare interessante: già nei giorni successivi, come annota Giulio, «C’è chi dice che il fatto è stato organizzato ad arte [dai comunisti] per toglier di mezzo vittime designate [in particolare gli esponenti di Bandiera Rossa e del Fronte militare clandestino] e per disturbare». Una falsa tesi che sarà ripresa più volte nel dopoguerra da estrema destra e estrema sinistra. I tedeschi e la polizia fascista lo ricercano attivamente. La sua prudenza lo salva. Più di una volta sfugge per miracolo alla cattura e ai rastrellamenti. La quarantacinquenne Bianca col piccolo “Renatino” ciondola tra Trento, Venezia e Scomigo, mai tranquilla, sempre rischiando la vita o la libertà, tra bombardamenti, colpi di mitraglia, attività di collaborazione alla Resistenza, corrispondenza con il marito. Il ritratto dell’Italia in guerra che viene fuori dalle pagine di questo libro è terrificante. Venezia piena di barche, ma «tutte con la croce uncinata a coprire i segni di italianità!». Roma prigioniera, «piena di mendicanti che dicono: ho fame! con bambini in collo avvolti in poveri cenci», sotto l’incubo dei bombardamenti, tanto che «Molta gente durante la giornata si rifugia in Piazza san Pietro e vicino al Vaticano come a luoghi sicuri», ma comunque irridente: «Qualche bello spirito ha scritto a Porta Pia di notte: “Coraggio inglesi, i russi stanno arrivando a Porta Pia”». Uno dei temi più interessanti del libro è il tormentato rapporto con i tedeschi e con gli Alleati. Giulio Tamassia, dal punto di vista militare, ammira «le capacità di resistenza e di manovra dei tedeschi, infinitamente superiori nel campo tattico e nella rapidità di decisione». Ma ne depreca i modi e la brutalità. Quanto agli Alleati, il giudizio dei due coniugi è negativo. Nel mirino ci sono soprattutto i bombardamenti alle città: «Non sono gli italiani, ma i tedeschi che occorre battere». Il 4 giugno 1944 Roma viene liberata ma la guerra li terrà lontani ancora a lungo. Fino a quando il 30 aprile 1945, Bianca, commossa ed eccitata, a Scomigo, potrà finalmente tirare fuori le bandiere ed esporle alle finestre: «Pare un sogno! Tutto è andato benissimo, nel migliore dei modi che mai si potesse sperare, e l’insurrezione partigiana e popolare è stata una cosa meravigliosa». Quello stesso giorno Giulio annota nel suo diario: «Giustizia (o vendetta) è fatta: i capi del fascismo sono stati giudicati da cosiddetti tribunali del popolo e la folla sanguinaria e incosciente ha commesso atti di barbarie sui loro cadaveri. Doveva finire così».
Pubblicato da Mario Avagliano

lunedì 16 settembre 2013

19-20-21 SETTEMBRE : RASSEGNA CINEMATOGRAFICA SULLA RESISTENZA

Torna il 19, 20 e 21 settembre 2013 a Casa della Memoria e della Storia la rassegna cinematografica "Cinema, storia e…", dedicata inquesta edizione a "la Resistenza", di cui quest'anno si celebra il 70° anniversario

Cinema, storia e … la Resistenza a Roma dal 19/09/2013 al 21/09/2013

Una data importante per la memoria e per l'identità collettiva del nostro paese che la Casa della Memoria e della Storia propone di ricordare con una rassegna di film e documentari per mantenere viva e vigile la memoria storica e la riflessione civile e per rendere omaggio, ancora una volta, a quanti hanno contribuito alla Liberazione dal nazi-fascismo consegnandoci l'Italia democratica.

Il programma della rassegna prevede l'alternarsi di film d'autore - Tutti a casadiLuigi Comencini, Le quattro giornate di Napoli di Nanni Loy e L'uomo che verrà di Giorgio Diritti - sulle storiche giornate del settembre 1943 e documentari che ricostruiscono, con materiali di repertorio, d'archivio e testimonianze personali, vicende significative di quel drammatico periodo.

L'iniziativa è a cura dell'Assessorato alla Cultura, Creatività e Promozione Artistica di Roma Capitale - Dipartimento Cultura - in collaborazione con ANPI, Circolo Gianni Bosio e IRSIFAR.
giovedì 19 settembre

Proiezione del documentario

VIA TASSO di Luigi Di Gianni (1960, 15')

La triste vicenda di Via Tasso a Roma ricostruita con materiale di repertorio e con la visita, 15 anni dopo la fine della guerra, alla sede nazista dell'"SS Kommandantur", il "palazzone" da cui Kappler coordinava tutte le azioni contro i partigiani e dove, nell'ala numero 155, si trovavano le carceri e le celle di tortura nelle quali furono straziate e uccise centinaia di persone.

e del film

TUTTI A CASA diLuigi Comencini (1960, 117')

La drammaticità dell'8 settembre 1943 e dei mesi che seguirono raccontata attraverso le vicende di un gruppo di soldati che attraversano l'Italia da nord a sud per tornare alle loro case. Commedia e tragedia si intrecciano nell'affresco storico di un paese devastato ma soprattutto nella parabola umana dei protagonisti.

Introduce Annabella Gioia, IRSIFAR
venerdì 20 settembre

Proiezione del documentario

UN POPOLO PER LA LIBERTÀ di Sebastiano Rendina (1995, 38')

Dedicato alla Resistenza in Italia, il documentario ricostruisce, anche attraverso materiali d'archivio, la nascita delle dittature nazista e fascista, lo svolgersi del conflitto mondiale, l'occupazione nazifascista, la lotta di Liberazione e infine l'affermarsi della democrazia nel nostro paese.

e del film

LE QUATTRO GIORNATE DI NAPOLI di Nanni Loy (1962, 116')

Una narrazione corale, una cronaca obiettiva e commovente delle giornate del settembre 1943 nelle quali il popolo napoletano, senza guida né tattiche preordinate, si trova unito a combattere una battaglia improvvisata e tragica riuscendo a liberare la città dai nazisti prima dell'arrivo delle truppe alleate.

Introduce Ernesto Nassi, ANPI
sabato 21 settembre

Proiezione del documentario

SENZA TREGUA di Marco Pozzi (2003, 35')

Giovanni e Nori sono sposati da quasi sessant'anni: la loro storia d'amore nasce durante la lotta di Liberazione e li vede entrambi membri dei GAP. Una straordinaria esperienza di vita vissuta, tra sentimento e impegno, alla ricerca della libertà è raccontata in prima persona dai due protagonisti.

La loro microstoria si intreccia con la Storia ed è testimonianza per i più giovani di un "eroica umanità".

e del film

L'UOMO CHE VERRÀ di Giorgio Diritti (2009, 117')

La guerra narrata dalla parte di alcuni contadini di Montesole, sull'Appennino emiliano, tra loro la piccola Martina di otto anni che vive nell'attesa della nascita del fratellino. Mentre la guerra si avvicina e la vita diventa sempre più difficile, stretti fra le brigate partigiane del comandante Lupo e l'avanzare dei nazisti, i personaggi si ritrovano al centro degli eventi che passeranno alla storia come la strage di Marzabotto.

Introduce Rino Arbia, Circolo Gianni Bosio

giovedì 15 agosto 2013

A.N.P.I. Sezione Esquilino-Monti-Celio "don Pietro Pappagallo": Io sono l'ultimo. Le lettere di amore e di lotta d...

A.N.P.I. Sezione Esquilino-Monti-Celio "don Pietro Pappagallo": Io sono l'ultimo. Le lettere di amore e di lotta d...: Lette in poche ore, tutte d'un fiato oggi sotto un sole cocente, le oltre cento lettere piene di amore, amicizia, odio e violenza. Un a...

Io sono l'ultimo. Le lettere di amore e di lotta di partigiane e partigiani italiani


Lette in poche ore, tutte d'un fiato oggi sotto un sole cocente, le oltre cento lettere piene di amore, amicizia, odio e violenza. Un appassionante racconto intrecciato e corale di forza e di speranza, sul fascismo, la democrazia, la libertà , il triste e sconfortante momento dell'Italia di oggi. Storie di partigiane e partigiani che erano, prima di tutto, ragazze e ragazzi ventenni. Che si innamoravano, vivevano una speranza, scoprivano di avere coraggio ma anche paura. Storie partigiane meravigliose ma anche tragiche, che rischiano di essere dimenticate e che ci dicono che la guerra di Liberazione, la Resistenza, è stata soprattutto una rivolta di giovani.

E che iniziano, e da qui nasce l'idea di questo libro, quando Anita Malavasi, la partigiana "Laila" ha iniziato a parlare d'amore, due anni or sono. Anita, che ci ha lasciato sei mesi fa a fine novembre mentre il libro era in stampa, era entrata nella Resistenza come staffetta a ventidue anni, a Reggio Emilia, dopo l'8 settembre 1943. Raccontò che per passare in bici ai posti di blocco mostrava le gambe ai tedeschi e quelli, "fessacchiotti", fischiavano. Per diventare partigiana aveva lasciato il fidanzato. E non si era più risposata. Poi disse: "In montagna, avevo trovato un ragazzo...lui si, lo avrei sposato se non me lo avessero ucciso. Si chiamava Giambattista Trolli, nome di battaglia Fifa, anche se era coraggiosissimo. E' morto nella battaglia di Monte Caio nel 1944, a ventitre anni. L'ho saputo sei mesi dopo, quando a primavera la neve si sciolse e il suo corpo fu ritrovato. Gli porto ancora i fiori...e anche adesso me lo rivedo davanti agli occhi. L'unico nostro bacio è stato d'addio".

Riempie il cuore questo libro, e fa piangere anche. Molto. Lettura obbligata, per i forti d'animo, per chi ci crede veramente e per chi sente che le cose della vita vanno conquistate, sempre, con passione e coraggio.

Marco Foroni


Io sono l'ultimo, Lettere di partigiani italiani, 2012, Einaudi Stile libero Extra, pp. XX - 332, € 18,00
A cura di Stefano Faure, Andrea Liparoto, Giacomo Papi

giovedì 11 luglio 2013

La Storia Siamo Noi - Via Rasella


Pippo Baudo e via Rasella

Caro Pippo Baudo, via Rasella non fu un attentato terroristico


RAI: ANPI A PIPPO BAUDO, VIA RASELLA NON FU ATTENTATO TERRORISTICO
(AGENPARL) - Roma, 10 lug -
Lunedì 8 luglio è andato in onda su Rai Tre in prima serata il programma ‘Il viaggio’, con Pippo Baudo. Al suo interno è stato dedicato un servizio al Sacrario delle Fosse Ardeatine nel quale il presentatore Baudo ha intervistato il maggiore dell’Esercito Italiano Francesco Sardone. Purtroppo ancora una volta, parlando di via Rasella, si sono rappresentati i fatti come se si fosse trattato di un attentato terroristico, e non di una "legittima azione di guerra partigiana", come è stato riconosciuto più volte dalla Corte di Cassazione italiana e da numerosi tribunali. Dispiace che uno dei più noti volti della TV italiana abbia scelto, ponendo le domande, di porre l’accento su presunti fatti poco chiari ancora oggi, quando la verità storica dovrebbe essere oramai riconosciuta e sedimentata. Ma le imprecisioni e i commenti equivoci non finiscono qui. Baudo, parlando di Don Pietro Pappagallo, dice che lui non c’entrava nulla! E’ vero, come innocenti però furono tutte le 335 vittime: non ci furono innocenti più di altri. Inoltre dobbiamo correggere il maggiore Sardone, che ha raccontato che dopo l’8 settembre del ’43 i Gruppi Armati Proletari cominciarono a compiere attentati contro i tedeschi, evidentemente confondendo i G.A.P. , Gruppi di Azione Patriottica responsabili dell’azione di via Rasella, con i Gruppi Armati Proletari, gruppo terroristico degli anni di piombo. Parlando della rappresaglia, le domande di Baudo sembrano legittimare le presunte leggi di guerra, solo in parte spiegate dal maggiore dell’Esercito, continuando a diffondere l’dea sbagliata che si potessero uccidere 10 persone per ogni militare morto. Baudo afferma: ”Dobbiamo dire la verità, sui fatti ancora si discute… gli autori non si sono mai presentati, anzi, sono stati insigniti di medaglia d’oro ed alcuni hanno fatto i deputati”. In realtà l'eccidio fu compiuto dai tedeschi in gran segreto e in tempi rapidissimi (21 ore dopo l'azione), in combutta con la polizia fascista, che consegnò alle SS di Kappler una parte delle vittime. Non fu rivolto alcun appello a consegnarsi agli autori dell'azione di via Rasella nè vi fu alcun preavviso della rappresaglia. Proprio per celare il posto dell'eccidio, i tedeschi fecero esplodere delle bombe all'ingresso delle cave Ardeatine. Ricordiamo quindi a Baudo, nel '70 anniversario della Resistenza, e a tutti i cittadini italiani che lo hanno ascoltato, che la verità è un’altra ed è stata definitivamente stabilita dai tribunali.
Lo rende noto l' ANPI Roma.
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Su via Rasella, la Suprema Corte di Cassazione: < Definire "massacratori" i partigiani è diffamazione. Fu una legittima azione di guerra contro il nemico occupante >

ROMA (22 luglio 2009) - Commette diffamazione chi definisce «massacratori» i partigiani che, il 23 marzo 1944 condussero l'attacco di via Rasella contro i soldati nazisti occupanti. Lo stabilisce la Corte di Cassazione, accogliendo la richiesta di risarcimento danni morali avanzata nei confronti del quotidiano Il Tempo da Elena Bentivegna, figlia della gappista Carla Capponi e di Rosario Bentivegna, due dei partecipanti all'azione di via Rasella, alla quale seguì la rappresaglia delle Fosse Ardeatine. I partigiani, secondo la Suprema Corte, non furono dei «massacratori di civili», ma compirono una «legittima azione di guerra» contro il nemico occupante.

La Cassazione - con la sentenza 16916 - ha contestato la decisione con la quale la Corte d'appello di Roma, nel 2004, aveva respinto la richiesta di risarcimento danni avanzata da Elena Capponi nei confronti del quotidiano Il Tempo. Il giornale aveva definito «massacratori di civili» i partigiani del commando di via Rasella, ritenendo legittimo l'uso di un simile termine in quanto quell'azione era «un gesto certamente violento, per sua natura finalizzato a cagionare orribile morte a una molteplicità di persone: si trattava di un inutile massacro». Ma i giudici di Piazza Cavour hanno ordinato alla Corte d'appello di rivedere il suo giudizio in quanto si tratta di un'affermazione «lesiva della dignità e dell'onore dei destinatari» mossa dall'intento di «accostare l'atto di guerra compiuto dai partigiani all'eccidio di connazionali inermi» (le oltre 300 vittime della strage delle Fosse Ardeatine).

«Ora non è più consentito a nessuno definire come “massacratori” i partigiani di via Rasella: si può esprimere un giudizio critico su quell'azione di guerra, e sottolineo di guerra, ma non si possono usare certi termini anche perchè non ci fu alcun massacro di civili, ad eccezione di un ragazzino rimasto ucciso con tutta probabilità da una raffica di mitra sparata dai tedeschi». Così l'avvocato Ettore Boschi - che ha difeso la memoria di Carla Capponi - ha commentato la sentenza. «Carla Capponi era una donna di gran cuore - aggiunge Boschi - che ha sofferto moltissimo per questi insulti, lei che non si è mai lamentata di tutte le malattie contratte per gli stenti della clandestinità e la durezza della lotta partigiana. Nel nostro Paese, purtroppo la verità storica ha sempre difficoltà ad essere riconosciuta, mentre i distinguo e l'ingiuria hanno il sopravvento».

«Su via Rasella, finalmente, si ristabilisce la verità: chi punta a fare becero revisionismo - interviene Alessandro Pignatiello del PdCI -, a diffamare e a riscrivere la storia d'Italia e della lotta di Liberazione, non potrà prescindere da quanto sancito dalla Suprema Corte che rende giustizia a chi lottò per la democrazia e la libertà».

Da Il Messaggero
http://www.ilmessaggero.it/articolo.php?id=66818&sez=HOME_INITALIA#IDX

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