domenica 14 aprile 2013

“Umanità ed eroismo nel carcere segreto di Regina Coeli” di Amedeo Strazzera-Perniciani


Il libro “Umanità ed eroismo nel carcere segreto di Regina Coeli” di Amedeo Strazzera-Perniciani è una testimonianza degli anni della Liberazione vissuti nel penitenziario romano
di Assunta Borzacchiello
Vecchi libri, con le pagine ingiallite e rese fragili dal tempo, riportano alla memoria storie dimenticate, vite che hanno scritto la storia della Repubblica. In uno di questi libri è narrata la storia che vi racconto: “Umanità ed eroismo nella vita segreta di Regina Coeli”, di Amedeo Strazzera-Perniciani, stampato a Roma il 10 febbraio 1946 dall’Azienda Libraria Amato. All’interno la dedica autografa dell’Autore: “All’Amico e Confratello Gr. Uff. Paolo Silvio Migliori che con spirito patriottico ha collaborato assiduamente con la Commissione visitatrice per lenire pene e dolori dei detenuti politici - Marzo 46”.
Amedeo Strazzera-Perniciani, all’indomani della Liberazione di Roma, avvenuta nel giugno del 1945, in questo libro racconta la difficile missione che gli era stata affidata nel gennaio 1942 dal Procuratore del Re Gabriele Volpe nominandolo presidente della Commissione Visitatrice e di assistenza ai carcerati, attività svolta fino a giugno del 1944, giorno della Liberazione di Roma. Il suo scopo fu “strappare alla morte o alla deportazione (che era poi il primo passo verso la morte) i detenuti, cercando di farli evadere o almeno immobilizzandoli nei letti dell’infermeria e degli ospedali”, scriveva nella prefazione il generale Roberto Bencivenga, ricordando anche che “è doveroso dire, qui, pure della collaborazione, che in quest’opera, diedero i funzionari della polizia e delle carceri che presero subito posizione, dopo l’8 settembre, per la causa patriottica”. Già componente della Commissione Visitatrice, fino all’assunzione della carica di presidente, Strazzera-Perniciani svolse nel primo periodo un’attività puramente caritatevole, portando conforto ai carcerati e ai loro familiari, distribuendo pacchi di viveri e parole di speranza. Ma è con la firma dell’armistizio, l’8 settembre del ‘43, che segnò la fine della guerra, ma anche l’occupazione nazifascista di Roma, che l’attività di Strazzera-Perniciani assunse un ruolo fondamentale nella lotta di Liberazione. Dopo il 25 luglio del ‘43, data che decide la caduta di Mussolini decisa nella seduta del Gran Consiglio, si istituisce il governo Badoglio e approdano nel carcere gli esponenti della classe dirigente del governo fascista, gerarchi, prefetti, giornalisti. Dopo l’Armistizio dell’8 settembre Roma è occupata nuovamente dai nazifascisti e le celle di Regina Coeli si svuotano dei gerarchi per far posto a coloro che il fascismo lo combattono tra le file del Partito d’Azione, del Partito Comunista, della Democrazia Cristiana, ma anche madri e padri di famiglia, preti, studenti, ebrei, operai e rampolli di famiglie aristocratiche che seppero trovare nell’idea della libertà la ragione comune per rischiare la propria vita e lottare per la libertà.
Il presidente della Commissione Visitatrice ascolta i racconti di prigionieri che hanno preso parte al Fronte di Liberazione Clandestino e hanno subito gli interrogatori condotti dai nazisti e dai fascisti. A Roma gli uomini della Gestapo effettuavano gli interrogatori nell’edificio di via Tasso, dato in affitto dal principe Francesco Ruspoli all’Ambasciata germanica in Italia. Adibito in parte a caserma, ad alloggi per ufficiali e a depositi, si trasformò in spettrale luogo di detenzione e di interrogatori di antifascisti o di sospettati di svolgere attività antifascista. Gli interrogatori iniziavano con i pestaggi e si continuava con le bruciature delle sigarette, lo strappamento delle unghie, fratture ossee. Ridotti in condizioni pietose, feriti nel corpo e mortificati nello spirito, i prigionieri venivano rinchiusi in celle minuscole e senza finestre, ammassati come bestie, in attesa della condanna o del trasferimento a Regina Coeli, nel famigerato terzo braccio, controllato dal comando tedesco, oppure al sesto braccio, riservato ai prigionieri politici a disposizione del governo fascista. Strazzera-Perniciani strinse rapporti con Emilio Lussu, capo del Partito d’Azione e rappresentante del Fronte Clandestino di Liberazione che gli chiese di portare notizie ai detenuti politici, di mantenere i contatti tra i prigionieri e i partigiani che lottano fuori. La rete è fondamentale per assicurare continuità alla lotta, per proteggere coloro che combattono per la libertà fuori e per salvare dalla deportazione o dalla morte chi è in carcere. Con il generale Roberto Bencivenga, capo dei gruppi militari clandestini di Roma e con i capi di altri partiti, si decise di mettere in atto ogni mezzo per sottrarre vittime ai tedeschi, sostenuto anche dall’incontro avuto da Strazzera-Perniciani con Ettore Casati, Primo Presidente della Corte Suprema di Cassazione, che, prima di partire per il Sud per partecipare al governo Badoglio, si era dichiarato, riporta l’autore “lieto di mettere la propria opera e quella della magistratura italiana al servizio della Patria, per il trionfo della giustizia e della libertà”. Nel frattempo Strazzera-Perniciani intensificò i contatti con le autorità amministrative e giudiziarie. Ad esempio, il commissario capo di P.S. addetto al gabinetto della questura di Roma, Alberto Ripandelli, favorì la richiesta di sollecitare i provvedimenti di scarcerazione di detenuti da lunga durata, non responsabili di reati, il commissario di P.S. Federico D’Amato, dirigente del carcere di S. Gregorio al Celio, segnalava invece l’entrata in carcere dei detenuti politici riferendo loro, su indicazioni dello stesso Perniciani, il comportamento da tenere durante gli interrogatori. Tra i detenuti che prendono aria nel cortile del carcere, nelle sue quotidiane visite a Regina Coeli, Strazzera-Perniciani conosce Sandro Pertini, Stefano Siglienti, Giuseppe Saragat, che lo pregano di portare notizie alle loro famiglie e tranquillizzarle. Pertini e Saragat erano stati arrestati il 18 ottobre 1943 dalla polizia fascista, incriminati di attività antifascista su vasta scala in Italia e all’estero. Condotti a Regina Coeli, sono assegnati prima al sesto braccio, quello dei comuni e poi al terzo, dove sono imprigionati i politici sotto la sorveglianza della polizia tedesca. Strazzera-Perniciani li incontra il 10 dicembre, durante l’ora d’aria; qui incontra anche Leone Ginzburg “dottore in lettere”, di corporatura alta e robusta, appartenente all’esecutivo del Partito d’Azione, marito di Natalia, e padre di tre bambine e Carlo Muscetta, critico letterario, arrestati il 20 novembre 1943, nella tipografia “Macta” in via Basento dove si pubblicava il foglio clandestino “Italia libera”. Insieme a Ginzburg furono tratti in arresto scrittori, redattori e operai appartenenti al Fronte Clandestino di Resistenza. Tutti gli arrestati erano stati condotti all’ufficio politico della Questura dove furono sottoposti a interrogatori con le solite modalità e infine inviati a Regina Coeli, al sesto braccio, dove restarono a disposizione dell’ufficio politico. Trasferiti al terzo braccio, appaiono preoccupati per la loro sorte. Strazzera-Perniciani dà loro indicazioni per fingersi malati e ottenere il momentaneo trasferimento in infermeria. Pur consapevole di correre gravissimi rischi personali, non si sottrae all’imperativo morale di curare i rapporti tra i detenuti e il mondo esterno. Spesso suggerisce di ricorrere a iniezioni che provocano febbri altissime per consentire a molti detenuti di trovare rifugio in infermeria e sfuggire così agli interrogatori o alla deportazione. Le mogli di Leone Ginzburg e di Carlo Muscetta, Natalia e Lucia, si rivolgono accorate a Strazzera-Perniciani per affidargli la sorte dei due uomini. Il presidente promette che si occuperà di loro e si attiva per evitare che essi vengano prelevati e trasferiti in Germania. Leone Ginzburg morirà il 5 febbraio 1944, alle otto e mezza del mattino, nell’infermeria di Regina Coeli per colicistite acuta e paralisi cardiaca, il giorno dopo la violazione dell’extra territorialità della basilica di San Paolo da parte del questore Pietro Caruso. La moglie e le figlie di Leone Ginzburg non possono partecipare ai funerali perché ebree. Natalia, grazie all’interessamento della Commissione Visitatrice, riesce a vedere la salma che riceve gli onori e viene tumulata nel cimitero del Verano.
Tra le pagine del libro di Strazzera-Perniciani si scopre un carcere terribile, ma anche umano, che sfata molti luoghi comuni di chi vuole le autorità carcerarie dalla parte degli oppressori, causa di pregiudizi e isterie che portarono alla tragica fine di Ferdinando Carretta, il direttore di Regina Coeli, giunto a Roma dopo che un bombardamento aveva quasi distrutto il carcere di Civitavecchia. Strazzera-Perniciani, durante la sua missione, fa appello alla generosità di Carretta, alle suore che lavorano nell’infermeria, ai medici del carcere, agli agenti di custodia che sfidano la feroce reazione nazifascista e lo agevolano nei suoi incontri con i politici. Carretta, che Strazzera-Perniciani ricorda per il coraggio con cui aveva aderito alla richiesta di stabilire contatti e per segnalare detenuti politici da assistere e da agevolare durante la prigionia, aveva preso parte anche a una riunione insieme ad Emilio Lussu per preparare la scarcerazione di tutti i detenuti politici di Regina Coeli, appena si fosse presentata la condizione favorevole. Donato Carretta, vittima dell’isteria della folla che gli attribuì ingiustamente la responsabilità di collaborazionista nella scelta dei nomi dei prigionieri che furono inviati alle Fosse Ardeatine, fu linciato dalla folla durante il processo a Pietro Caruso, sottoposto a giudizio per avere violato l’extra territorialità della basilica di San Paolo, per avere consegnato ai tedeschi i prigionieri da inviare alle Fosse Ardeatine, per i rastrellamenti, gli interrogatori tramite tortura e altri crimini. Condannato a morte, Caruso verrà fucilato alla schiena al Forte Bravetta il 22 settembre 1944.
I contatti di Strazzera-Perniciani si estendono anche al ministero della Giustizia, dove l’ispettore generale delle carceri addetto alle funzioni ispettive del carcere di Regina Coeli, Guido Marracino e Giuseppe Gibilisco, consigliere di Corte d’Appello, seguono ed assecondano con grande comprensione il movimento della Commissione Visitatrice. Un ruolo importante, ricorda l’autore, fu svolto dal personale di custodia del carcere, con a capo il comandante Sebastiano Masia e i sottocapi Cosimo Lintas, Sebastiano Rossi, Antonio Farina, e poi Londolina, Petrangeli, Mondelli e altri. E ancora, Strazzera-Perniciani ricorda l’opera delle suore addette alla vigilanza interna del carcere femminile delle Mantellate, il gruppo dei medici di Regina Coeli e delle Mantellate, i dottori Salvatore Scandurra, Paolo Majol, Lorenzo Lorè, Alfredo Monaco, Biagio Urso che collaborarono patriotticamente dando pareri favorevoli al passaggio dalle anguste celle del carcere nell’infermeria e anche nelle cliniche private di Roma.
Finalmente il 4 giugno 1944, vigilia dell’ingresso degli Alleati nella Capitale, arriva l’ordine del C.L.N. di aprire le porte della prigione “e restituire alla libertà ed alla Patria i figli valorosi ed eroici, dopo lunghissimi mesi di pene inenarrabili”. Con l’arrivo degli Americani Strazzera-Perniciani viene nominato reggente del carcere e si trova a fronteggiare nuove difficoltà. Dopo il primo sfollamento dovuto alla liberazione dei politici e alla fuga di molti detenuti comuni, Regina Coeli ricomincia ad affollarsi per l’arrivo di numerosi esponenti del passato regime, ma anche di persone arrestate perché trovate in possesso di generi vietati. I nuovi ingressi, ogni giorno, si aggirano intorno alle duecento unità. Strazzera ancora una volta si attiva presso le autorità americane per sollecitare l’esame delle centinaia di fascicoli consentendo così la liberazione di circa ottocento detenuti.
La vita a Regina Coeli riprende, anche se con innumerevoli difficoltà: mancano i mezzi, il personale, i regolamenti sono espressione del governo dittatoriale, ma Strazzera-Perniciani ha esaurito la sua missione, il 16 novembre 1944 lascia la reggenza della direzione di Regina Coeli. Nelle sue memorie, ormai esperto di questioni carcerarie, esprime alcune idee per una riforma carceraria: “La soluzione del problema carcerario potrà, dunque, raggiungere il completo successo se si risolveranno le principali questioni connesse a tale problema: amministrazione carceraria, edilizia, trattamento dei detenuti, regime carcerario, assistenza materiale, morale, sanitaria e spirituale ai detenuti, formazione di un Corpo di Agenti di custodia intelligente, preparato, selezionato, adeguatamente retribuito, moralmente elevato. (...) Ci auguriamo che, elevate le condizioni di vita e di carriera, possano affluire nel Corpo giovani selezionati, capaci di esercitare, nella continuità del contatto col detenuto, una funzione quasi pedagogica, creando nelle carceri un nuovo clima morale, un nuovo modo di sentire, di pensare, di agire. (…) Nel nuovo assetto democratico del Paese, trascurare questa importante questione sociale e giuridica significherebbe abdicare a quelle posizioni di civiltà, che ci competono per antichissima, nobile tradizione”.

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