domenica 29 aprile 2012

“Dove finisce Roma” di Paola Soriga


“Dove finisce Roma” di Paola Soriga

articolo di Antonella Finucci

Un po’ te lo aspetti che sia un libro che vale, se il web pullula di recensioni positive e di grandi nomi della letteratura e del giornalismo che lo elogiano. Decidi che sì, lo leggerai, non fosse altro per vedere se hanno ragione.
Poi te ne accorgi da sola, che vale, un libro, mentre lo leggi nel silenzio di casa o nel casino della metro e ne rimani colpita. Te ne accorgi, forse, proprio dal voler leggere ancora, ancora.
E ne hai la conferma ulteriore alla fine, quando pensi che lo consiglierai o lo regalerai.
Dove finisce Roma, romanzo d’esordio di una giovanissima Paola Soriga, è un libro che vale, che sorprende, per più di una ragione.
L’autrice dimostra di saperci fare davvero: lei la letteratura l’ha studiata, e si vede.
Si vede che i meccanismi le sono noti, che li possiede e riesce a gestirli. E anche a divertirsi mentre lo fa.
La voce narrante, delicata e potentissima insieme, è quella di una ragazzina quasi diciottenne che deve sfuggire ai fascisti. La cercano perché è una staffetta partigiana: siamo al 30 maggio del 1944, Roma aspetta di essere liberata dagli americani.
Ecco, questa voce narrante riesce ad alternare la terza persona alla prima in modo magistrale e, senza mai un virgolettato, riesce a raccontare la sua storia alternando il discorso indiretto puro della narrazione al discorso diretto libero del ricordo.
L’uso sapiente della punteggiatura, delle virgole in particolar modo, e di un romanesco che si insinua genuino nell’italiano, contribuiscono alla riuscita perfetta di questo libro.
Diverse sono le tracce, implicite e rielaborate ma evidenti nei nomi (si vedano Agnese e Micol), di grandi come Fenoglio, Viganò, Bassani.
È Ida, però, la protagonista, che vede se stessa e che racconta /si racconta: è arrivata a Roma appena dodicenne nel 1938, da un piccolo paesino della Sardegna.
Non sa spiegare a parole come sia entrata nella Resistenza, è una cosa che sente dentro, come se fosse quella la sua unica vocazione.
E al lettore, comunque, questo basta: Ida cresce, diventa una donna dentro quella grotta, per quell’ideale. Diventa donna durante la guerra, che crea e distrugge con la stessa facilità.
Conosce tante persone, tante altre muoiono.
E tra i lutti, un lutto altrettanto doloroso seppur molto diverso da quelli che ha visto finora: l’amore non corrisposto per Antonio, che non la sposa e che le lascerà l’amaro in bocca “rovinandole” la gioia per l’arrivo degli americani.
Nel dramma della guerra, paradossalmente, l’amore riesce ancora a far sentire vivi (anche Ida, seppur in negativo, sente la vita scorrerle dentro, sente la rabbia, la delusione) e la vita ha ancora, sempre, il suo peso, grazie ai rapporti umani, che sono ilsenso anche in mezzo alla tragedia, quando un senso sembra non esserci più.
E se a dirci tutto questo è la voce di una bambina nel mondo adulto della guerra, la prospettiva bellissima da cui la storia è vista diventa ancora più intrigante, soprattutto quando si decide (come in questo caso) di ridurre al minimo la trama raccontando, volutamente, una delle tante, comuni, piccolissime storie che contribuiscono, tutte insieme, a costruire la Storia, quella grande, che va a finire sui libri.
Non voglio, però, raccontare troppo: Dove finisce Roma, inizia il nostro percorso per ripensare la nostra storia personale, le nostre origini e la radice comune che tiene unita, oggi come allora, la storia di tutti.

(Paola Soriga, Dove finisce Roma, Einaudi, 2012, pp. 152, euro 15,50)

mercoledì 11 aprile 2012

IL COLONNELLO DELLA RESISTENZA

http://www.produzionidalbasso.com/pdb_1008.html
RACCOLTA DI ADESIONI PER LA REALIZZAZIONE DI UN FILM DOCUMENTARIO

Attraverso i ricordi di Fulvia Ripa di Meana, che furono anche di ispirazione a Roberto Rossellini per il suo “Roma città aperta”, il documentario vuole ripercorre i nove lunghi mesi di occupazione della capitale. Con immagini di repertorio e alcune ricostruzioni, relative in particolare alle testimonianze dirette di Fulvia, accompagnate da interviste inedite ad alcuni giovanissimi testimoni oculari della vicenda: Carlo Ripa di Meana (figlio di Fulvia), Andrea e Adriana Montezemolo (figli di Giuseppe), faremo rivivere dalle pagine del suo libro-diario “Roma clandestina”, che ci permette di ripercorrere, con uno sguardo personale ed inedito, ricco di passione e di attenzione ai dettagli, la storia di quella Roma città aperta che tutti ormai crediamo di conoscere e in particolare la storia del COLONNELLO Giuseppe Cordero Lanza di Montezemolo, capo del FRONTE MILITARE CLANDESTINO ROMANO martire delle Fosse Ardeatine. A completare il quadro delle interviste lo scomparso Giuliano Vassalli (Comandante Socialista) e lo scrittore/giornalista Mario Avagliano

martedì 10 aprile 2012

IL PARTIGIANO MONTEZEMOLO


Il partigiano Montezemolo

Una biografia minuziosa e commovente del capo della resistenza militare dell’Italia occupata, che agiva nella Roma del 1943-44 e morì alle Fosse Ardeatine. Da uno storico affermato, un saggio che colma una lacuna nella storiografia sulla Resistenza di matrice moderata
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(Dalai, 416 pagine, 22 euro)

Un mese dopo la liberazione di Roma, il generale Alexander, capo delle Forze Alleate in Italia, inviò una lettera privata alla marchesa Amalia di Montezemolo, moglie del colonnello Giuseppe Cordero Lanza di Montezemolo esprimendole profonda ammirazione e gratitudine per l’opera del marito.
Chi era questo colonnello di origine piemontese e di nobile lignaggio (imparentato con Luca Cordero di Montezemolo), ufficiale dello Stato Maggiore dell’Esercito, segretario particolare di Badoglio dopo il 25 luglio 1943, e quale ruolo svolse il Fronte Militare Clandestino di Roma (FMCR) da lui guidato nella guerra contro i tedeschi?
La vicenda del partigiano con le stellette Montezemolo, militare di carriera, monarchico convinto, anticomunista ma in ottimi rapporti con Giorgio Amendola, costituisce un esempio significativo sotto diversi aspetti di come la storiografia abbia per troppo tempo oscurato o sottovalutato personaggi e movimenti della Resistenza di matrice moderata.
Colmando tale lacuna, questo saggio ricostruisce la vita di Montezemolo attraverso un certosino lavoro di ricerca negli archivi dello Stato Maggiore dell'Esercito, l’intervista di vari testimoni dell'epoca, l’analisi di centinaia di documenti, saggi e libri di memoria, molti dei quali inediti o rari e introvabili, e la consultazione degli archivi familiari, dal cardinale Andrea Montezemolo alla marchesa Adriana Montezemolo fino al primogenito Manfredi e ai nipoti Carlo, Saverio e Ludovica Ripa di Meana.
Ripercorrendo le tappe della vita di Montezemolo – dalla Grande Guerra alla Guerra di Spagna, al suo ruolo nel secondo conflitto e nel colpo di stato che destituì Mussolini e poi come capo della resistenza militare in Italia e a Roma, fino alla tragica morte alle Fosse Ardeatine – il libro contempera l’efficace ritratto storico del Paese con la commovente storia familiare di un padre, marito e militare, descrivendo con efficacia l’abbaglio di una generazione di italiani per il fascismo e il loro riscatto durante la Resistenza.
La biografia è corredata da alcuni documenti e da un apparato iconografico di fotografie del personaggio e dei familiari.il Partigiano Montezemolo

sabato 7 aprile 2012

Stori@ - il blog di Mario Avagliano: Via Rasella, intervista a Michela Ponzani: “Cedere...

Stori@ - il blog di Mario Avagliano: Via Rasella, intervista a Michela Ponzani: “Cedere...: di Mario Avagliano “Sasà è stato per me come un padre”. Michela Ponzani, ricercatrice dell’Istituto Storico Germanico di Roma, è molto ...

Via Rasella, intervista a Michela Ponzani: “Cedere al rischio di rappresaglie avrebbe fatto saltare la Resistenza”

di Mario Avagliano

“Sasà è stato per me come un padre”. Michela Ponzani, ricercatrice dell’Istituto Storico Germanico di Roma, è molto provata. Negli ultimi due anni ha lavorato fianco a fianco con Rosario Bentivegna, per scrivere il suo libro di memorie, uscito in novembre e intitolato Senza fare di necessità virtù (Einaudi).Proprio nei giorni scorsi, assieme a Bentivegna, aveva commentato le centinaia di messaggi, molti dei quali polemici, giunti a “Il Messaggero” a seguito dell’intervista all’ex partigiano Mario FiorentiniNonostante il dolore, non si sottrae alle domande: “Rosario avrebbe voluto che io rispondessi. Per tutta la vita ha lottato contro le falsità e le manipolazioni, soprattutto riguardo a via Rasella”.
Partiamo dall’accusa ai partigiani di non essersi costituiti per evitare la rappresaglia delle Ardeatine.
Nessun manifesto o comunicato che invitasse i partigiani a consegnarsi venne mai affisso e nessun appello radio venne diffuso. Nell’estate del 1948, interrogato dal giudice del Tribunale militare di Roma, il colonnello delle SS Herbert Kappler ammise che non c’era stato il tempo di affiggere manifesti, visto che il massacro delle Ardeatine fu compiuto in meno di 24 ore dall’azione.

I partigiani avrebbero dovuto comunque essere consapevoli del rischio di rappresaglie?
Questo dilemma si pose a tutto il movimento partigiano europeo. Tuttavia, in quel momento storico, con la guerra in casa, la soluzione non poteva essere quella di cedere alla minaccia delle rappresaglie. Ciò avrebbe significato rinunciare a fare la Resistenza.
Chi eseguì la rappresaglia, era obbligato militarmente?
Anche questo è un falso storico. Nel 1997, al processo contro l’ex capitano delle SS Erich Priebke, la tesi dell’obbligo dei militari di obbedire agli ordini è stata ampiamente smentita. L’art. 47 del codice penale militare di guerra tedesco prevedeva la possibilità di rifiutarsi di compiere un ordine superiore, se contrario alla propria coscienza o religione. E infatti il maggiore Dobbrick, comandante del III battaglione dell’SS Polizei Regimen Bozen attaccato a via Rasella, si rifiutò di partecipare al massacro delle Ardeatine proprio sulla base di questa legge, perché profondamente cattolico.
Perché secondo lei  via Rasella è ancora oggi oggetto di tante polemiche?
Contestare via Rasella è un modo per mettere in discussione la Resistenza. È paradossale che proprio la stagione da cui scaturisce la democrazia nel nostro paese, non sia entrata a far parte della memoria collettiva.

(Il Messaggero, 3 aprile 2012)

venerdì 6 aprile 2012

Stori@ - il blog di Mario Avagliano: Storie - Addio a Sasà, il partigiano di via Rasell...

Stori@ - il blog di Mario Avagliano: Storie - Addio a Sasà, il partigiano di via Rasell...: di Mario Avagliano Addio all’ultimo gappista di via Rasella. L’ex partigiano Rosario Bentivegna, 89 anni, nato a Roma il 22 giugno 1922...

Storie - Addio a Sasà, il partigiano di via Rasella

di Mario Avagliano

Addio all’ultimo gappista di via Rasella. L’ex partigiano Rosario Bentivegna, 89 anni, nato a Roma il 22 giugno 1922, è spirato ieri pomeriggio, nella sua abitazione capitolina, dopo una vita ricca di battaglie e di impegno civile in politica (nei partiti di sinistra), nella professione di medico e nel sindacato (l’Inca-Cgil).
Il 23 marzo 1944, nel periodo oscuro dell’occupazione nazista della capitale, fu proprio il giovane Bentivegna, detto Sasà,  allora studente di medicina dagli occhialini rotondi, travestito da spazzino, ad accendere la miccia dell’esplosivo che fece saltare in aria 32 soldati del Battaglione Bozen (nei giorni seguenti il bilancio finale dei morti salì a 44, compresi due civili italiani). A ideare l’attacco era stato il suo amico Mario Fiorentini, intellettuale dai capelli arruffati, figlio dell’ebreo Pacifico, sfuggito miracolosamente alla retata del 16 ottobre 1943. I tedeschi “punirono” i romani con l'eccidio delle Fosse Ardeatine, nel quale furono barbaramente assassinate 335 persone, tra cui anche 75 ebrei.

Per quell’azione Bentivegna subì vari processi nel dopoguerra, dai quali usci sempre assolto, e fu oggetto di violente polemiche giornalistiche. Il 7 agosto 2007 la Corte di Cassazione (sentenza 17172) stabilì definitivamente che via Rasella era stato un "legittimo atto di guerra rivolto contro un esercito straniero occupante''.
Uno dei ricordi più toccanti di Bentivegna è venuto da Riccardo  Pacifici, presidente della Comunità ebraica di Roma, in trasferta a Cracovia per un viaggio della memoria: "E' morto un eroe. Un eroe soprattutto per noi ebrei della seconda generazione, figli di sopravvissuti. Un uomo coraggioso che con poche armi in mano ha impaurito l'occupante nazista". "E' triste – ha sottolineato Pacifici - aver saputo che negli anni la sua figura, in certi ambienti, sia stata associata a quella dei vigliacchi; che alcuni abbiano sottolineato che dopo l'attentato di via Rasella avrebbe dovuto costituirsi; che altri, ancora più malignamente, sostengano che il non essersi costituito sia costato la vita a 335 italiani. La versione dei fatti fu un'altra: non ci fu il tempo per costituirsi perché la furia nazista colpì senza preavviso". La comunità ebraica, ha detto Pacifici, si impegnerà "in accordo con la famiglia ad organizzare una serata per ricordare l'opera del partigiano Bentivegna, a cui dedicheremo la piantumazione di alberi come da tradizione ebraica".
Messaggi commossi di commemorazione di Bentivegna sono giunti anche  dal presidente della Provincia di Roma Nicola Zingaretti (“Fa parte di un gruppo di uomini e donne che ha permesso a noi di vivere in un paese democratico”), dall’Anpi nazionale, della cui presidenza era membro onorario, dall’Anpi romana (“E’ stato un grande eroe della Resistenza italiana”) e dagli amici ex partigiani, da Mario Fiorentini a Massimo Rendina.
L’ex partigiano, il cui nome di battaglia era “Paolo”, medaglia d’argento della Resistenza (“assegnatagli dal presidente Luigi Einaudi e consegnatagli dal premier Alcide De Gasperi”, come opportunamente ricordato da Rendina), dopo essere stato da ragazzo un entusiasta balilla, sui banchi del liceo passò nelle file antifasciste. Uno dei motivi principali fu l’emanazione delle leggi razziali del 1938. “All’epoca – mi ha raccontato in un colloquio rimasto in parte inedito - frequentavo il liceo Virgilio, che si trovava al Ghetto, e avevo diversi compagni di scuola di religione ebraica, tutti bravi ‘balilla’. Ricordo che la mia famiglia frequentava  Renato Sacerdoti, allora presidente della Roma e grand commis della borsa romana, poiché mio zio Giulio Burali d’Arezzo era il suo avvocato. La politica antisemita di Mussolini mi risultò subito incomprensibile e inaccettabile”.
Fu durante il periodo della Resistenza che conobbe e s’innamorò di Carla Capponi, anche lei partigiana e gappista. Si sposarono dopo la liberazione di Roma (più tardi si separarono, rimanendo però sempre in ottimi rapporti). Dalla loro unione nacque la figlia Elena, alla quale fu dato il nome di battaglia di Carla.
Proprio l’anno scorso Bentivegna, assieme alla storica Michela Ponzani, aveva pubblicato il suo libro di memorie, intitolato “Senza fare di necessità virtù” (Einaudi), spendendosi  con passione in un faticoso tour di presentazioni nelle quali insisteva nel concetto che “la Resistenza a Roma fu una cosa seria e non fu solo via Rasella: potrei citare decine e decine di azioni delle varie formazioni partigiane contro i fascisti e i nazisti, l’attività svolta dai militari guidati dal valoroso colonnello Montezemolo e la solidarietà attiva della popolazione”.
Comunista sui generis, libertario e anticonformista, Bentivegna nel ’56 si schierò contro il partito, condannando l’invasione sovietica in Ungheria. Il terrorismo degli anni ’70 e la violenza dei gruppi di sinistra extraparlamentare furono ferocemente criticati da Bentivegna come fenomeni di “avventurismo”.  Nel 1985 la decisione di uscire dal Pci, per i profondi dissensi con la linea “consociativa” del   partito  di Berlinguer. Negli ultimi anni aveva preso la tessera del Pd nella sezione storica di via dei Giubbonari e aveva pubblicamente dichiarato la sua avversione verso il terrorismo islamico e la sua solidarietà ad Israele: “Sono ancora comunista perché credo nel superamento dello stato di cose presenti. Ma sono un comunista libertario, contro tutti i tiranni, contro tutti gli integralismi, anche quello dei comunisti. Nel ’56 ho condannato l’invasione in Ungheria e adesso sono contro la sharia, i kamikaze, i talebani. E fin dal 1948 sono dalla parte d’Israele e ci sto ancora”.

(L’Unione Informa, 3 aprile 2012)

martedì 3 aprile 2012

Addio Rosario Bentivegna

Avevo intrapreso ultimamente uno scambio di mail con Rosario Bentivegna. Mi incoraggiava a non dimenticare mai, a continuare a raccontare quel periodo che ci vide prima servi della Germania e poi servi degli Stati Uniti. I morti, gli eroi, le vittime,  i carnefici, i dubbi , le medaglie. Le ultime mail che gli ho inviato sono cadute nel vuoto. Ieri ho scoperto perchè....
La mia paura, che non gli ho mai confessato, era riguardo a chi lo avrebbe difeso dai continui attacchi subiti una volta che lui non avrebbe più potuto rispondere. Ora il vecchio leone non potrà più affrontare il nemico. Mi auguro che si spenga per sempre con Rosario anche la subdola contestazione alla Resistenza.
Addio vecchio guerriero grazie per la libertà.http://it.wikipedia.org/wiki/Rosario_Bentivegna

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