“Dove finisce Roma” di Paola Soriga
articolo di Antonella Finucci
Un po’ te lo aspetti che sia un libro che vale, se il web pullula di recensioni positive e di grandi nomi della letteratura e del giornalismo che lo elogiano. Decidi che sì, lo leggerai, non fosse altro per vedere se hanno ragione.
Poi te ne accorgi da sola, che vale, un libro, mentre lo leggi nel silenzio di casa o nel casino della metro e ne rimani colpita. Te ne accorgi, forse, proprio dal voler leggere ancora, ancora.
E ne hai la conferma ulteriore alla fine, quando pensi che lo consiglierai o lo regalerai.
Dove finisce Roma, romanzo d’esordio di una giovanissima Paola Soriga, è un libro che vale, che sorprende, per più di una ragione.
Poi te ne accorgi da sola, che vale, un libro, mentre lo leggi nel silenzio di casa o nel casino della metro e ne rimani colpita. Te ne accorgi, forse, proprio dal voler leggere ancora, ancora.
E ne hai la conferma ulteriore alla fine, quando pensi che lo consiglierai o lo regalerai.
Dove finisce Roma, romanzo d’esordio di una giovanissima Paola Soriga, è un libro che vale, che sorprende, per più di una ragione.
L’autrice dimostra di saperci fare davvero: lei la letteratura l’ha studiata, e si vede.
Si vede che i meccanismi le sono noti, che li possiede e riesce a gestirli. E anche a divertirsi mentre lo fa.
La voce narrante, delicata e potentissima insieme, è quella di una ragazzina quasi diciottenne che deve sfuggire ai fascisti. La cercano perché è una staffetta partigiana: siamo al 30 maggio del 1944, Roma aspetta di essere liberata dagli americani.
Ecco, questa voce narrante riesce ad alternare la terza persona alla prima in modo magistrale e, senza mai un virgolettato, riesce a raccontare la sua storia alternando il discorso indiretto puro della narrazione al discorso diretto libero del ricordo.
L’uso sapiente della punteggiatura, delle virgole in particolar modo, e di un romanesco che si insinua genuino nell’italiano, contribuiscono alla riuscita perfetta di questo libro.
Diverse sono le tracce, implicite e rielaborate ma evidenti nei nomi (si vedano Agnese e Micol), di grandi come Fenoglio, Viganò, Bassani.
È Ida, però, la protagonista, che vede se stessa e che racconta /si racconta: è arrivata a Roma appena dodicenne nel 1938, da un piccolo paesino della Sardegna.
Si vede che i meccanismi le sono noti, che li possiede e riesce a gestirli. E anche a divertirsi mentre lo fa.
La voce narrante, delicata e potentissima insieme, è quella di una ragazzina quasi diciottenne che deve sfuggire ai fascisti. La cercano perché è una staffetta partigiana: siamo al 30 maggio del 1944, Roma aspetta di essere liberata dagli americani.
Ecco, questa voce narrante riesce ad alternare la terza persona alla prima in modo magistrale e, senza mai un virgolettato, riesce a raccontare la sua storia alternando il discorso indiretto puro della narrazione al discorso diretto libero del ricordo.
L’uso sapiente della punteggiatura, delle virgole in particolar modo, e di un romanesco che si insinua genuino nell’italiano, contribuiscono alla riuscita perfetta di questo libro.
Diverse sono le tracce, implicite e rielaborate ma evidenti nei nomi (si vedano Agnese e Micol), di grandi come Fenoglio, Viganò, Bassani.
È Ida, però, la protagonista, che vede se stessa e che racconta /si racconta: è arrivata a Roma appena dodicenne nel 1938, da un piccolo paesino della Sardegna.
Non sa spiegare a parole come sia entrata nella Resistenza, è una cosa che sente dentro, come se fosse quella la sua unica vocazione.
E al lettore, comunque, questo basta: Ida cresce, diventa una donna dentro quella grotta, per quell’ideale. Diventa donna durante la guerra, che crea e distrugge con la stessa facilità.
Conosce tante persone, tante altre muoiono.
E tra i lutti, un lutto altrettanto doloroso seppur molto diverso da quelli che ha visto finora: l’amore non corrisposto per Antonio, che non la sposa e che le lascerà l’amaro in bocca “rovinandole” la gioia per l’arrivo degli americani.
Nel dramma della guerra, paradossalmente, l’amore riesce ancora a far sentire vivi (anche Ida, seppur in negativo, sente la vita scorrerle dentro, sente la rabbia, la delusione) e la vita ha ancora, sempre, il suo peso, grazie ai rapporti umani, che sono ilsenso anche in mezzo alla tragedia, quando un senso sembra non esserci più.
E al lettore, comunque, questo basta: Ida cresce, diventa una donna dentro quella grotta, per quell’ideale. Diventa donna durante la guerra, che crea e distrugge con la stessa facilità.
Conosce tante persone, tante altre muoiono.
E tra i lutti, un lutto altrettanto doloroso seppur molto diverso da quelli che ha visto finora: l’amore non corrisposto per Antonio, che non la sposa e che le lascerà l’amaro in bocca “rovinandole” la gioia per l’arrivo degli americani.
Nel dramma della guerra, paradossalmente, l’amore riesce ancora a far sentire vivi (anche Ida, seppur in negativo, sente la vita scorrerle dentro, sente la rabbia, la delusione) e la vita ha ancora, sempre, il suo peso, grazie ai rapporti umani, che sono ilsenso anche in mezzo alla tragedia, quando un senso sembra non esserci più.
E se a dirci tutto questo è la voce di una bambina nel mondo adulto della guerra, la prospettiva bellissima da cui la storia è vista diventa ancora più intrigante, soprattutto quando si decide (come in questo caso) di ridurre al minimo la trama raccontando, volutamente, una delle tante, comuni, piccolissime storie che contribuiscono, tutte insieme, a costruire la Storia, quella grande, che va a finire sui libri.
Non voglio, però, raccontare troppo: Dove finisce Roma, inizia il nostro percorso per ripensare la nostra storia personale, le nostre origini e la radice comune che tiene unita, oggi come allora, la storia di tutti.
Non voglio, però, raccontare troppo: Dove finisce Roma, inizia il nostro percorso per ripensare la nostra storia personale, le nostre origini e la radice comune che tiene unita, oggi come allora, la storia di tutti.
(Paola Soriga, Dove finisce Roma, Einaudi, 2012, pp. 152, euro 15,50)
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