I sedici siciliani che Priebke fece fucilare alle Ardeatine
SONO sedici i caduti siciliani alle Fosse Ardeatine in quell' alba tragica del 24 marzo 1944, eccidio tornato in prima pagina con la morte di Erich Priebke, l' ufficiale delle SS, braccio destro del comandante Kappler e boia della spietata esecuzione. Due di loro sono stati iscritti tra le vittime dopo l' esame del Dna sulle salme in anni recenti. Tutto ha origine in via Rasella il pomeriggio del 23, quando il partigiano Rosario Bentivegna, in codice Paolo, studente in medicina, travestito da spazzino giunge nella strada con il carretto contenente l' ordigno che alle 15,52 fa esplodere accendendo la miccia con il fornello della sua pipa nell' attimo in cui passa il convoglio tedesco. È strage, bilancio: 33 militari tedeschi dilaniati. Per ritorsione, secondo la legge della decimazione, le SS mettono davanti al plotone di esecuzione 335 innocenti italiani, prelevati tra i prigionieri, politici e non, delle carceri romane. Li conducono nelle cave della pozzolana per il viaggio senza ritorno. SEGUE PAGINA XIII Imartirisiciliani delle Fosse Ardeatine sono inclusi in tre distinti elenchi. Nel primo, dove sono annoverate 154 vittime (prelevate tra i carcerati che sono a disposizione dell' Aussenkommando perché sotto inchiesta), ne troviamo undici. Ecco i nomi e i profili: Vito Artale, palermitano, medaglia d' oro al valore militare, tenente generale di Artiglieria, tradotto in carcere nel dicembre del 1943, per aver sabotato gli impianti delle Vetrerie d' ottica del Regio esercito, di cui è dirigente. Ha messo in atto la manomissione per evitare che i macchinari cadessero in mano nemiche. Altro palermitano medaglia d' oro, originario di Misilmeri, è il corazziere Calcedonio Giordano, arruolato nella legione dei Carabinieri regi. Dopo aver portato a termine importanti missioni militari, dopo l' 8 settembre si ritrova tra i gruppi di militari sbandati al seguito del generale Filippo Caruso. Nel febbraio del 1944 viene arrestato anche il sottufficiale di Pubblica sicurezza, brigadiere Pietro Ermelindo Lungaro, medaglia d' argento, di Trapani, uomo di collegamento con le nascenti formazioni antifasciste del Partito d' azione capeggiate dal maggiore dell' Aeronautica Umberto Grani. La SS tedesche lo arrestano mentre è in caserma e lo conducono nella prigione di via Tasso, poco prima dell' esecuzione. Anche il maggiore dell' esercito Carlo Avolio, grande invalido, mutilato e pluridecorato della "Grande guerra", nato a Siracusa, impiegato, aderisce alla Resistenza nelle file del Partito d' azione. Purtroppo nel gennaio del 1944 per una delazione finisce in carcere, da dove è prelevato per la fucilazione. Sempre alla fine di gennaio, forse il 28, viene arrestato il tenente colonnello Giovanni Rampulla, nato a Patti, militante del Fronte militare clandestino. Nello stesso periodo finisce in manette Nunzio Rindone, pastore trentenne di Leonforte (Enna), arrivista della Formazione "Isolato". E Rosario Petrelli meccanico di Caltagirone iscritto al Partito Comunista clandestino che contrasta l' occupazione tedesca di Roma. A febbraio toccaa Raffaele Zicconi, classe 1911, finire nel carcere di Regina Coeli, terzo braccio, cella 367. La sua colpa? È un partigiano del Partito d' azione. Siciliano affabile, dagli amici è chiamato affettuosamente Lino. È originario di Sommatino (Caltanissetta), ma risiede a Roma, dove è impiegato alle Poste. Nel ' 41 ha sposato Ester Aragona con la quale ha avuto un figlio, Renzo. Il piccolo ha appena due anni quando Pribke lo rende orfano e la sua sorellina, in grembo alla madre nel tragico momento della fucilazione, è destinata a non conoscere il papà. La storia di Zicconi riemerge dal buio grazie alle sue lettere scritte dal carcere e recuperate dal nipote Massimo Ciancaglini. Il 15 febbraio vengono incarcerati altri due siciliani: Gaetano Butera e Leonardo Butticè. Il primo, nativo di Riesi (Caltanissetta) decoratore di professione, dopo l' 8 settembre si trova a Roma in servizio al 4° reggimento carristi; partecipa alla difesa della città e confluisce dopo l' 8 settembre nelle Bande armate del Lazio. Caduto in un' imboscata, finisce nelle carceri di via Tasso da dove poi "esce" per la fucilazione. Successivamente gli verrà attribuita la medaglia d' oro al valore militare. Leonardo Butticè, agrigentino di Siculiana, fa il meccanico. L' incontro con la fidanzata Aida Romagnoli gli cambia la vita. Aderisce ai Gap delle Brigate Matteotti e da partigiano opera nel Comando dell' Ottava Zona del Quadraro. Su segnalazione di un delatore, è arrestato. Altra figura di spicco della Resistenza romana, imprigionato su delazione nel febbraio del 1944, è Ferdinando Agnini, studente di Medicina, catanese, tra i fondatori dell' Associazione di universitari di carattere progressista. Il gruppo svolge compiti di reperimento delle armi e si occupa di propaganda antifascista e di azioni di sabotaggio sulle vie Nomentana, Salaria, Prati. La sua cattura viene decisa dai gerarchi nazifascisti dopo che si è attivato per dare vita insieme a Maurizio Ferrari al Comitato di agitazione studentesca, per contestare l' esclusione dagli esami degli antifascisti. Ai primi di febbraio del 1944 entra a far parte della Brigata Garibaldi del Pci. Catturato, viene rinchiuso in cella col padre, che però viene risparmiato. In un secondo elenco, formato da 23 persone a disposizione del tribunale militare tedesco in attesa di giudizio, sono inseriti altri due siciliani: Sebastiano Ialuna (o Ioluna), in carcere dai primi di marzo, e Santo Morgano. Il Ialuna nativo di Mineo, figlio di Agrippino e di Grazia Salerno, è un giovane agricoltore benestante di 23 anni. Come molti richiamati alle armi è di stanza nella zona di Roma. Dopo l' 8 settembre da sbandato vagabonda per la campagna romana, trovando rifugio in casolari di amici e di parenti. Per una spiata, in seguito ad un rastrellamento, nel febbraio del 1944 viene tradotto a Regina Coeli. Come lui anche il ventitreenne Santo Morgano, figlio di Antonio, nato a Militello e coinvolto nella Resistenza dopo lo sbandamento. È tra gli sfortunati presi di mira per la fucilazione alle Fosse. Nell' ultimo elenco di 10 persone, arrestate il 23 marzo perché catturate nei pressi di via Rasella, subito dopo la strage dei militari tedeschi, è inserito Cosimo D' Amico. Trentasettenne di Catania, amministratore teatrale; il tempo di transitare per il carcere e all' alba del 24 marzo si ritrova davanti al plotone d' esecuzione. Infine tra le 12 vittime ancora non identificate, c' è il siciliano Salvatore La Rosa di Aragona (Agrigento). Sepolto nella tomba numero 273, dopo l' accertamento sulle ossa tumulate, si è scoperto che il suo dna combaciava perfettamente con quello fornito dalla figlia Angela Alaimo La Rosa. L' anno scorso infine le analisi del Ris dei carabinieri di Roma, sempre grazie al dna, hanno portato al riconoscimento di un' altra salma siciliana: Michele Partito, civile, nato a Casteltermini (Agrigento) nel 1914. Forse finito per caso nella lista della decimazione. Sedici eroi che in quel frangente drammatico della Storia hanno scelto di stare dalla parte giusta mettendo a repentaglio le proprie vite. Martiri a cui la Sicilia non ha riservato il giusto riconoscimento. Non è mai troppo tardi per onorare, e perpetuare, la memoria di chi ha immolato la propria vita per la causa della libertà. Ci piace ricordare il sacrificio di questi martiri con le stesse parole incise sulla lapide commemorativa del sacrario delle Fosse Ardeatine: "Figli portate con fierezza il ricordo dell' olocausto dei padri se lo scempio su di noi consumato sarà servito al di là della vendetta a consacrare il diritto all' umana esistenza contro il crimine dell' assassinio".