GERMANIA
Fosse Ardeatine, storico tedesco accusa l'Italia
"Roma scelse di non perseguire gli assassini"
Il settimanale Spiegel rilancia la ricerca di Felix Bohr su documenti provienienti dall'AA, il vecchio ministero degli Esteri. Da cui verrebbe alla luce la volontà comune di Roma e Berlino, a fine anni 50, di evitare l'estradizione e il processo ai criminali. Le ragioni del governo democristiano: evitare di dare l'esempio ad altri Paesi per rivalersi sui criminali di guerra italiani, ma anche per non incrinare i rapporti con la Germania di Adenhauer e non dare un vantaggio propagandistico al Pci
BERLINO - Alla fine degli anni Cinquanta, le diplomazie di Italia e Germania collaborarono per evitare che i criminali nazisti responsabili dell'eccidio delle Fosse Ardeatine fossero estradati e chiamati a rispondere di quella terribile rappresaglia davanti alla giustizia italiana. Lo afferma la ricerca dello storico berlinese Felix Bohr, che il settimanale Spiegel rilancia pubblicandone estratti e conclusioni. Secondo la sua ricostruzione, Roma contribuì all'insabbiamento per evitare che il processo ai militari tedeschi fungesse da esempio per Paesi che, a loro volta, avrebbero chiesto all'Italia di consegnare gli italiani macchiatisi di crimini di guerra.Bohr ha ripercorso la vicenda analizzando documenti rinvenuti nell'Archivio politico dell'Auswaertiges Amt (AA), il ministero degli Esteri tedesco. Lo storico si sarebbe imbattuto in una corrispondenza intercorsa nel 1959 tra l'ambasciata tedesca a Roma e l'AA, da cui emergerebbe la volontà delle parti di sottrarre al giudizio i criminali nazisti. In particolare, il consigliere d'ambasciata tedesco a Roma dell'epoca, Kurt von Tannstein, iscritto al partito nazista dal 1933, scriveva che l'obiettivo "auspicato da parte tedesca e italiana" era di "addormentare" le indagini sull'esecuzione del 24 marzo 1944 in una cava della Città eterna, in cui morirono 335 civili e militari italiani. Massacro ordito come vendicativa rappresaglia a seguito dell'attacco partigiano condotto a Roma in via Rasella, in cui morirono 33 soldati tedeschi. Per l'eccidio delle Fosse Ardeatine, nel corso del tempo alla sbarra sono finiti solo il comandante delle SS di Roma Herbert Kappler, il capitano delle SS Erich Priebke e il capo del controspionaggio nazista Karl Hass.
Spiegel scrive che "l'iniziativa partì dal governo italiano": i dirigenti democristiani non avevano interesse a chiedere l'estradizione dei responsabili dell'eccidio residenti in Germania. Un diplomatico italiano di rango elevato spiegava che "il giorno in cui il primo criminale tedesco verrà estradato, ci sarà un'ondata di proteste in altri Paesi che a quel punto chiederanno l'estradizione dei criminali (di guerra, ndr) italiani". Ma altre ragioni inducevano il governo italiano a frenare il desiderio di giustizia di una nazione. Una era certamente la volontà di non turbare i buoni rapporti con la Germania di Konrad Adenauer, alleata nella Nato. E poi, il disegno strategico di non fornire un vantaggio propagandistico al Partito comunista italiano.
I documenti scoperti da Bohr portano alla luce il contenuto di un colloquio che l'ambasciatore tedesco Manfred Klaiber ebbe nell'ottobre 1958 con il capo della procura militare di Roma, colonnello Massimo Tringali, nella sede diplomatica tedesca. Dopo il colloquio, Klaiber scriveva a Bonn che il colonnello Tringali aveva "espresso che da parte italiana non c'è alcun interesse a portare di nuovo all'attenzione dell'opinione pubblica l'intero problema della fucilazione degli ostaggi in Italia, in particolare di quelli alle Fosse Ardeatine".
All'ambasciatore tedesco, Tringali aveva spiegato che ciò "non era auspicato per motivi generali di politica interna" e "esprimeva l'auspicio che dopo un doveroso e accurato esame, le autorità tedesche fossero in grado di confermare alla Procura militare che nessuno degli accusati era più in vita o che non era possibile rintracciare il loro luogo di residenza, oppure che le persone non erano identificabili a causa di inesattezze riguardo alla loro identità".
Il colonnello italiano avrebbe aggiunto che, nel caso in cui le autorità tedesche fossero arrivate dopo un'inchiesta alla conclusione che tutti o parte dei responsabili dell'eccidio vivevano in Germania, "la Bundesrepublik era libera di richiamarsi all'accordo italo-tedesco di estradizione e di spiegare che le informazioni richieste non potevano essere fornite, in quanto la Bundesrepublik in base ai suoi regolamenti non estrada i propri cittadini".
L'ambasciatore Klaiber, iscritto al partito nazista dal 1934 ed entrato sotto Hitler nel ministero degli Esteri del Terzo Reich, aveva aggiunto una nota personale in cui appoggiava la "ragionevole richiesta" italiana, a cui bisognava fornire una "risposta assolutamente negativa". Il risultato fu che nel gennaio 1960 dall'AA di Bonn arrivò all'ambasciata tedesca a Roma la risposta che nel caso della maggior parte dei ricercati "non è possibile al momento rintracciare il luogo di residenza", esprimendo anche il dubbio che "essi siano ancora in vita". Un addetto dell'ambasciata annotò che "ciò corrisponde al risultato atteso".
Le ricerche di Felix Bohr hanno invece accertato che, in alcuni casi, sarebbe stato facile rintracciare criminali nazisti che alle Fosse Ardeatine ebbero un ruolo non di secondo piano. Carl-Theodor Schuetz, che aveva comandato il plotone di esecuzione, lavorava presso il 'Bundesnachrichtendienst', i servizi segreti tedeschi. Kurt Winden, che secondo Kappler aveva collaborato alla scelta degli ostaggi da fucilare, nel 1959 era il responsabile dell'ufficio legale della Deutsche Bank a Francoforte. Per quanto riguarda invece l'Obersturmfuehrer Heinz Thunat, nel 1961 il suo indirizzo era "noto", ma un funzionario dell'AA scrisse a Klaiber e Tannstein di comunicare agli italiani che "su Thunat non si è in grado di fornire informazioni".
Risultato: il procedimento per gli altri responsabili dell'eccidio alle Fosse Ardeatine venne archiviato in Italia nel febbraio 1962.
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